Corriere 12.9.15
Una soluzione «tecnica» per scongiurare la rottura
Gli equilibri Il presidente del Consiglio assicura che ci sono i numeri per approvare il testo su Palazzo Madama ma è obbligato a trattaredi Massimo Franco
Le trincee delle posizioni iniziali non sono state ancora smantellate. Il governo continua ad avvertire che cercherà l’accordo fino all’ultimo nel Pd, senza però escludere di «rivolgerci ad altre forze politiche», nelle parole del sottosegretario a Palazzo Chigi, Luca Lotti. E gli avversari di Matteo Renzi ribadiscono che senza una revisione dell’articolo 2 della riforma, quello sull’elezione diretta o meno dei senatori, non ci può essere intesa. Ma non suona come anticipazione di un epilogo senza accordo.
In realtà la trattativa prosegue: entrambe le parti hanno deciso di doverla tentare. Per questo, nelle ultime ore si è cominciato a parlare di «soluzioni tecniche», insistendo sulla possibilità di trovarne più d’una. È un modo per aggirare gli ostacoli simbolici, e tutti politici, dello scontro prolungato all’interno del Pd. Ne ha parlato il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, lasciando capire che in quel modo non sarebbe necessario toccare l’articolo 2. E ne ha parlato lo stesso premier, con una novità: ieri ha ufficializzato la convinzione di avere i numeri per approvare una riforma controversa.
«Alla faccia di chi diceva “non ci sono i voti”, ce l’abbiamo sempre fatta», ha rivendicato Renzi. «Succederà così anche questa volta». Una premessa del genere serve a dire ai contestatori che la mediazione viene fatta anche se non sarebbe necessaria. Insomma, sono parole che vogliono pesare e condizionare il comportamento degli oppositori. E nascono dalla volontà di spingere quanti sono perplessi dal muro contro muro con Palazzo Chigi a piegare le resistenze degli irriducibili.
D’altronde, quando nella cerchia renziana si spiega di essere contrari alle espulsioni dal partito «in stile Grillo» e in parallelo si chiede alla minoranza di «adeguarsi» alle decisioni della maggioranza, viene consegnato un segnale chiaro. Significa che si cerca l’intesa fino all’ultimo. Si punta all’unità del Pd come accadde quando si trattò di eleggere il capo dello Stato, Sergio Mattarella. Ma se quell’operazione fallisce, la resa dei conti sarà inevitabile. Un simile atteggiamento lascia pensare che la verità sia più sfumata di quella assertiva evocata da Renzi: nel senso che le certezze sui numeri non sono così scontate.
Oltre ai dissidenti del Pd ci sono anche quelli del Nuovo centrodestra, scontenti della piega strategica che sta prendendo l’alleanza tra Angelino Alfano e il Partito democratico, che sottolinea l’impatto positivo delle riforme a livello internazionale. E le continue riunioni di deputati e senatori del Pd sembrano fatte apposta per testimoniare l’intenzione di non rompere. Renzi sa che la rete di sicurezza gettata dalle istituzioni per garantire la stabilità non solo regge: si è rafforzata negli ultimi giorni. Il problema è che nessuno la buchi con parole e toni fuori luogo .