domenica 30 agosto 2015

Repubblica 30.8.15
Ma fu Newton a dire “Non importa l’ipotesi basta che funzioni”
Per lungo tempo idee oggi non controverse come l’energia e il calore furono oggetto di discussioni
di Amedeo Balbi


Per molti è colpa della meccanica quantistica. Se bisogna trovare un momento storico in cui la realtà descritta dalla fisica si è separata definitivamente da quella suggerita dal senso comune, i primi decenni del Ventesimo secolo sembrano la scelta più ovvia. In quegli anni, gli scienziati che investigavano il comportamento del mondo subatomico si ritrovarono, loro malgrado, a confrontarsi con concetti paradossali. I costituenti fondamentali della natura, si scoprì, potevano comportarsi simultaneamente come onde e come particelle, essere contemporaneamente in più punti dello spazio fino a quando non li si localizzava con una misura, e perfino sottrarsi alla possibilità di conoscere con precisione arbitraria tanto la loro velocità che la loro posizione.
La stessa esistenza di una realtà oggettiva, indipendente dall’interazione con un osservatore cosciente, sembrò essere messa in discussione. Alcuni esponenti di punta della neonata fisica quantistica — soprattutto quelli di scuola tedesca, come Werner Heisenberg e Erwin Schrodinger — sembrarono incoraggiare questo tipo di interpretazioni. La cosa, notoriamente, non andò mai giù ad Albert Einstein: «Mi piace pensare che la Luna sia sempre lì, anche se io non la guardo».
Eppure, anche un realista convinto come Einstein aveva fatto la sua parte nell’allontanare la realtà della fisica da quella dell’esperienza immediata. È trascorso giusto un secolo dalla formulazione generale della teoria della relatività, una visione del mondo in cui lo spazio e il tempo possono contrarsi, dilatarsi e scambiarsi di posto, in cui la simultaneità tra gli eventi dipende da chi li osserva, e in cui materia e energia sono aspetti perfettamente intercambiabili della realtà. Da quei primi, fecondi e rivoluzionari decenni del Ventesimo secolo, la fisica non ha più smesso di far entrare nel proprio bagaglio concettuale immagini sempre più sconcertanti. Buchi neri da cui non si torna più indietro e in cui il tempo si arresta, campi universali da cui scaturiscono tanto la materia quanto le sue interazioni, dimensioni nascoste oltre le tre che conosciamo, forme di materia e di energia invisibili ma onnipresenti, perfino una moltitudine di universi paralleli in cui la realtà segue percorsi alternativi rispetto alla nostra.
È molto difficile ormai, anche per una persona colta, tenere il passo con questo vertiginoso proliferare di idee che, un tempo, si sarebbero senza esitazioni rubricate nel dominio del sogno o della poesia, se non della follia. Altrettanto difficile, per i non esperti (e talvolta anche per loro) orientarsi nella giungla delle pseudo-scienze che, ammantate di gergo preso in prestito dalla fisica e opportunamente travisato, ripropongono idee misticheggianti — tra guaritori quantici, energie misteriose che legano tutti gli esseri viventi, santoni che viaggiano in altre dimensioni e influenzano l’esito degli eventi con la forza del pensiero.
E però, a ben vedere, la fisica è sempre stata fonte di disorientamento, anche quando si limitava a far cozzare corpuscoli e palle da biliardo, le dimensioni erano solo tre e lo spazio e il tempo erano punti di riferimento assoluti. Quando i fisici ottocenteschi iniziarono a esplorare il mondo dei fenomeni elettromagnetici e Michael Faraday introdusse per la prima volta l’idea che fossero prodotti dall’azione di un “campo” presente in tutto lo spazio, l’idea apparve stramba, pericolosamente imbevuta di magia (e diede impulso alle fantasie dei seguaci dello spiritismo, molto in voga nella società dell’epoca). Per lungo tempo, concetti oggi non controversi, come l’energia e il calore, furono oggetto di accese discussioni attorno alla loro reale natura. E cosa può essere sembrato più misterioso dell’idea di una azione a distanza tra masse separate dallo spazio vuoto, che Isaac Newton introdusse con la sua legge di gravitazione universale?
Proprio Newton ci dà una chiave ancora perfettamente valida per confrontarci con il mondo non intuitivo della fisica. Di fronte all’apparente assurdità dell’azione a distanza, Newton sospese il giudizio: «Hypotheses non fingo », scrisse, ovvero non mi avventuro in speculazioni. «È sufficiente che la gravità esista e agisca secondo le leggi che ho spiegato e che sia in grado di rendere conto di tutti i moti dei corpi celesti». Ancora oggi, è questa la bussola: per quanto sorprendente, ciò che si può quantificare e misurare, e supera il severo vaglio della prova sperimentale, può entrare a far parte del nostro schema di descrizione della realtà.