giovedì 27 agosto 2015

Repubblica 27.8.15
Senato, sfida Pd-Grasso sull’elettività
Maggioranza del partito in allarme: l’apertura del presidente di Palazzo Madama a far votare gli emendamenti mette a rischio il pilastro dell’articolo 2
E spunta l’ipotesi di “spostare” la decisione nella Giunta del regolamento
di Giuseppe Alberto Falci


Tutto si gioca attorno all’articolo che costituisce il cuore della riforma del ministro Boschi Il vicesegretario Serracchiani avverte la minoranza: basta dividersi. Il bersaniano Fornaro: “Niente chiusure a riccio”

ROMA . A decidere sulla querelle che contrappone il presidente del Senato Pietro Grasso e la maggioranza del Pd potrebbe essere un “tribunale”. Le parole della seconda carica dello Stato dalla festa nazionale de L’Unità di Milano - con l’invito a trovare una soluzione politica per superare “l’impasse”- scuotono gli animi del Nazareno. Parole che avrebbero infastidito i maggiorenti del Pd in Senato. Il dilemma è sempre lo stesso: alla ripresa dei lavori il presidente Grasso dovrà decidere se ammettere o no la mole di emendamenti sull’articolo 2 della riforma del Senato. Tutto si gioca attorno all’articolo che costituisce il cuore della riforma Boschi, quello che determina la composizione della futura Camera Alta. Al momento la contesa è lessicale. La minoranza del Pd si appella alla sostituzione di una preposizione - “nei” era diventata “dai” nel passaggio del testo dal Senato alla Camera che - secondo i 26 senatori dem dissidenti - «rende la modifica sostanziale e rilevante». Se così fosse, la maggioranza potrebbe non superare la prova del voto. In sostanza, il testo - essendo emendabile- rischierebbe di essere seppellito dagli emendamenti delle opposizioni, che hanno già superato quota mezzo milione. A difendere le ragioni della minoranza è il senatore Pd, Federico Fornaro: «Come per tutte le leggi, essendo un sistema bicamerale, il testo deve essere approvato alla stessa maniera sia alla Camera che al Senato. Altrimenti si può ritenere emendabile». Una posizione che non fa certo retrocedere la maggioranza renziana. «La modifica - dicono - non è sostanziale, quindi l’articolo non è emendabile». «Grasso dovrebbe apertamente in aula contraddire la decisione di Anna Finocchiaro », spiega un dirigente dem chiarendo il senso della sfida. La presidente della I commissione, il 5 agosto, nel testo che sarà base per la discussione della ripresa, aveva assicurato che non se ne parla «di rimettere la riforma di nuovo sulla linea di prima partenza». Non perché l’art.2 non sia modificabile ma perché dopo due letture non si può stravolgere l’impianto della legge. Debora Serracchiani, vice segretaria nazionale del Nazareno, avverte: «Se siamo tutti d’accordo che bisogna superare il bicameralismo perfetto - ha detto che bisogna ridurre il numero dei parlamentari, che bisogna semplificare questo Paese con una riforma che la sinistra italiana aspettava da troppo tempo. Non ci sta ha concluso - che il Partito democratico si divida e che metta in pericolo la sicurezza di questo Paese». La partita è ancora aperta. L’uomo a cui tutti guardano è Pietro Grasso, arbitro della riforma. Tocca a lui stabilire il calendario dei lavori , e, soprattutto, decidere se accogliere le richieste di opposizione e minoranza, oppure saltare gli esami degli emendementi portando la riforma in aula. Ma, secondo quanto riferiscono dal Pd, Grasso avrebbe a disposizione una terza via. Quale? È nella sue prerogative rivolgersi a un “tribunale”. «Per evitare di scontentare maggioranza e opposizione - spiegano - Grasso potrebbe rimandare tutto alla Giunta per il regolamento». Il match, dunque, si sposterebbe in Giunta per il regolamento, dove però l’area di governo non può contare su una maggioranza certa. La resa dei conti si avvicina. I lavori d’aula riprenderanno l’8 settembre, e in quella data si saprà che ne sarà dell cammino di una riforma che l’esecutivo considera “decisiva” per la tenuta e le sorti di Palazzo Chigi. Nell’attesa i dissidenti del Pd affilano le armi. E si preparano alla battaglia. Anche se al Nazareno sono convinti che il drappello dei 26 senatori di minoranza si ridurrà. In ogni caso Renzi non indietreggia e rilancia: o ci sono i numeri o ne trarrà le conseguenze.