venerdì 21 agosto 2015

Repubblica 12.8.15
Troppi poteri in mano al premier ecco perché la riforma va cambiata
La replica di Scalfari a Napolitano. L’Italicum e il ddl Boschi trasformano radicalmente la struttura politica: premierato e maggioranza a chi raggiunge il 40% dei voti espressi. Mai successo dal Dopoguerra
di Eugenio Scalfari


ALLA LETTERA che Giorgio Napolitano mi ha inviato e che abbiamo pubblicato ieri nel nostro giornale rispondo soprattutto per ringraziarlo per le parole di amicizia e di stima che mi ha rivolto e che contraccambio con identici sentimenti. Non è la prima volta che questo accade tra noi, ma ieri leggendola mi sono sentito profondamente felice e voglio dirglielo. Viviamo in un mondo assai accidentato e in una società nella quale gli affetti, anche genuini, sono però molto spesso intrecciati ad interessi, convenienze, obiettivi concreti di tornaconti individuali e lobbistici. Non è il nostro caso, quel tipo di interessi non c’è mai stato tra noi, lui non ha mai avuto alcun tornaconto a volermi bene e neppure io. Talvolta è anzi accaduto – sia in occasioni lontane nel tempo e sia ora – che avessimo idee divergenti nella visione del bene comune del nostro Paese e quando è avvenuto ce lo siamo detti sia in private conversazioni sia in pubblico dibattito.
Così sta avvenendo ora su due temi strettamente connessi: la riforma costituzionale del Senato e la legge elettorale che è stata riformata dopo la sentenza abrogativa di quella vigente da parte della Corte costituzionale. Non sono temi da poco: rappresentano una trasformazione radicale della nostra struttura politica e dunque della politica nelle sue forme. Prevedono una riforma che va ben oltre le modalità dell’articolo 138, destinato a consentire singoli mutamenti che incidono su aspetti marginali di attuazione dei principi e dei valori intangibili della “Carta” approvata dall’Assemblea costituente 67 anni fa.
È pur vero che alcuni di quei principi e dei diritti-doveri allora sentiti sono invecchiati e si sono rivelati insufficienti col passar degli anni per numerose ragioni dovute al trasformazioni internazionali, sociali, scientifiche, tecnologiche. E proprio per corrispondere a queste nuove esigenze sono stati numerosi i tentativi di porvi rimedio con diverse commissioni bicamerali, la prima delle quali fu presieduta da Aldo Bozzi e poi dalla Iotti, da De Mita, da D’Alema. Cito a memoria e forse ne scordo altri, ma sono passati oltre trent’anni da quei tentativi, tutti falliti per varie ragioni.
Ha tentato anche Napolitano a ripercorrere quella via con il Comitato dei Saggi e poi con una Commissione presieduta da Quagliariello, peraltro più di orientamento che di obbligo procedurale. Ma i due disegni di legge dei quali stiamo ora parlando (elettorale e costituzionale, se sarà approvato) e sulle quali le nostre opinioni divergono produrranno un mutamento talmente radicale che a mio avviso equivale ad una riscrittura del contesto costituzionale che soltanto una nuova Costituente potrebbe affrontare. A cominciare dall’abolizione di una delle due Camere che insieme compongono il potere legislativo, instaurando un sistema monocamerale e introducendo in quest’ultimo un meccanismo che concede al premier di nominare un numero ragguardevole di capilista di varie circoscrizioni, creando un “premierato” al posto della presidenza del Consiglio, con un sistema elettorale che al posto della legge proporzionale che ha regolato i rapporti tra il popolo sovrano e lo Stato per quasi cinquant’anni, destina un premio al partito che raggiunge il 40 per cento dei voti espressi, quale che sia il numero degli astenuti.
Non era mai accaduto che un fatto del genere avvenisse in Italia; bisogna risalire alla legge Acerbo di mussolinana memoria. La legge-truffa voluta da De Gasperi nel 1952 prevedeva il premio soltanto a quel partito o coalizione di partiti che avesse superato almeno di un voto il 50 per cento. Fu approvato dal Parlamento ma sconfitto dalle urne e non passò.
Questo è dunque il quadro entro il quale si svolge la nostra discussione.
Personalmente non ho un’affezione particolare al bicameralismo perfetto anche se – come risulta dallo studio dell’apposito Ufficio di palazzo Madama – il tempo medio impiegato dall’approvazione delle leggi in un testo definitivo da entrambi i rami del Parlamento non è affatto lunghissimo: supera di poco i tre mesi e con pochi ritocchi può essere imposto un tempo minimale. Nel mio ultimo articolo ho prospettato un Senato cui sia tolto il potere di dare la fiducia al governo restando integri gli altri poteri. Napolitano obietta che questa proposta è irrazionale e probabilmente ha ragione. In altri miei interventi avevo infatti addirittura proposto che il Senato fosse interamente abolito; a rappresentare Regioni e Comuni di fronte allo Stato ci sono già apposite conferenze, basterebbe conservarle, semmai precisando meglio i poteri legislativi di competenza degli Enti locali e la loro autonomia.
Quindi niente Senato, ma solo Camera che ingloba interamente il potere legislativo ed è la sua maggioranza – pur nel rispetto delle minoranze – a determinare la linea politica al potere esecutivo che ha il compito di tradurla in atto. Ove sviluppasse una linea diversa, la Camera gli toglierebbe la fiducia.
È compatibile questo principio che pienamente realizza quella Repubblica parlamentare che l’attuale Costituzione configura, con il premierato? Dipende da che cosa si intenda con quella parola. Se si intende che il presidente del Consiglio ha un potere maggiore di quello dei ministri e in caso di contrasto può destituirli senza che questo comporti un rimpasto e un voto di fiducia, questo sì, è pienamente compatibile.
Ma se il premier adotta una politica difforme da quella indicata dalla maggioranza della Camera, allora no, non è compatibile. Naturalmente nel corso della legislatura la maggioranza della Camera può anche cambiare, senza che con questo si debba andare a nuove elezioni. Ai tempi della Dc questi mutamenti avvennero molte volte: Fanfani sostituì Scelba, Moro sostituì Fanfani e fu a sua volta sostituito da Colombo e poi da altri. Moro comunque dominò per decenni il partito (e quindi il Parlamento) con maggioranze che dal centrismo passarono ai socialisti di Pietro Nenni e poi addirittura con il Pci di Enrico Berlinguer.
Tutto avvenne con il sistema di voto proporzionale, non ci fu mai, dico mai, il premio di maggioranza che dà al premier troppi poteri.
Questo è lo schema. È pur vero che oggi i tempi sono cambiati. Mi auguro che cambino ancora. Se – come spero – nasceranno gli Stati Uniti d’Europa, i governi nazionali perderanno una parte notevole della loro sovranità e altrettanto ne perderanno i rispettivi Parlamenti. Ci sarà anche in Europa una sinistra e una destra e sarà un bene la loro alternanza.
Oggi in Italia c’è un centro e un po’ di destra. La sinistra, caro Giorgio, non c’è più. Tu non ne parli ma sono convinto che nel tuo intimo te ne rammarichi. Per come ti conosco tu non sei un marxista, sei un liberal-democratico, esattamente come me. È la cultura del partito d’Azione. Una sinistra liberale, è questo che ci caratterizza, ma a me sembra lontana anni luce e ne sono francamente angustiato.