venerdì 21 agosto 2015

Corriere 12.8.15
La chiave per studiare il cervello? Liberarsi dai dettagli superflui
Il lavoro di 22 neuroscienziati americani per verificare cosa è «inutile» sapere. È la più precisa analisi della corteccia cerebrale di un topo. Le ricadute per noi
di Massimo Piattelli Palmarini


Ben ventidue neuroscienziati americani di alcune delle più importanti università (Harvard, MIT, Stanford, Columbia, Johns Hopkins, Boston University e altre) hanno appena firmato, sull’ultimo numero della prestigiosa rivista Cell , il resoconto di una dettagliatissima ricostruzione di un segmento della corteccia cerebrale del topo. È la più dettagliata ricostruzione mai fino a oggi ottenuta per un tessuto cerebrale, perché la loro anatomia scende al livello del nanometro (un milionesimo di millimetro) e copre circa quattordici milioni di cellule nervose. Il metodo di partenza, ma solo di partenza, piuttosto classico, è stata una nutrita serie di quasi duemila sottilissime fettine impilate in ordine fisso, ma la novità è venuta dopo.
La nuova tecnologia si chiama «ricostruzione saturata» e viene effettuata automaticamente, combinando microscopia elettronica, mininastri trasportatori (per le fettine), raffinati lettori di immagini e algoritmi di calcolo. È una novità nel campo più generalmente chiamato «connettomica». Non solo ogni cellula presente nella corteccia cerebrale (neuroni, astrociti, cellule gliali e così via) viene individualmente identificata, ma vengono anche identificati i corpicelli interni a queste cellule (vescicole, mitocondri) e vengono seguite, nei loro tortuosi percorsi, tutte le loro propaggini (assoni, dendriti) e tutti i contatti tra cellula e cellula (sinapsi). I diversi tipi di cellule e di contatti sono stati marcati in modo specifico con coloranti diversi. Il risultato è adesso una banca dati accessibile a tutti i ricercatori e ugualmente accessibili sono gli algoritmi di calcolo usati.
L’anatomia molto fine del sistema nervoso rimaneva fino a oggi poco nota. Contrariamente a quanto ritenuto, questi dati mostrano che la prossimità fisica, spaziale tra cellula e cellula non basta a prevedere i contatti tra i neuroni. Questi ricercatori dichiarano, senza peli sulla lingua, di aver «confutato» (sic: refuted) questa inveterata ipotesi. Si erano, in realtà, prefissi uno scopo nobile, cioè un risparmio di tempo e di sforzo per il futuro. A dispetto della montagna di dettagli ora rivelati, volevano vedere che cosa è inutile (sì proprio così: inutile) identificare e rintracciare, quando già si è identificato e rintracciato altro. Il loro articolo, altamente tecnico e ricco di immagini, indica quali economie sono fattibili, quali dati anatomici diventano ora superflui. Si può ora passare, in modo più efficiente, dal cubetto di cervello da loro esaminato, a porzioni sempre più grandi e in futuro a un cervello intero. Le possibili applicazioni cliniche vengono così da questi autori testualmente prefigurate: «Descrizioni della struttura delle reti neuronali potranno anche essere importanti se delle anomalie in tali reti sono la causa di disturbi psichiatrici o dello sviluppo e se modifiche in tali reti immagazzinano informazioni apprese (per esempio i ricordi). Esplorare queste possibilità può richiedere metodi capaci di rivelare dati di connessioni sinaptiche molto dettagliati».
Concludono con una riflessione che mi sembra importante e che condivido: non è affatto ovvio che arrivare a capire le funzioni del cervello presupponga necessariamente un sempre maggior accumulo di dati anatomici. Si potrebbe dire: senti da che pulpito viene la predica! Ma non dobbiamo, perché tanto squisito dettaglio è motivato proprio dall’esigenza di liberarci, per quanto possibile, da una inutile valanga di dettagli superflui.