sabato 29 agosto 2015

La Stampa 29.8.15
“La diarchia non servirà a curare i mali di Roma”
Gli intellettuali perplessi sulla soluzione adottata per la Capitale
di Fabio Martini


A distanza di otto mesi dall’irruzione di Mafia Capitale il governo ha dunque fatto la prima mossa, incaricando il prefetto di Roma di vigilare sulla correttezza amministrativa degli atti di alcuni Dipartimenti del Campidoglio e - sempre al prefetto Gabrielli - spetterà di coordinare (sul modello Expo), gli interventi per il Giubileo: due decisioni assunte dal presidente del Consiglio senza parlarsi col sindaco di Roma, col quale non interloquisce da quasi un anno. Con una città così in crisi, è mai possibile che il capo del governo e il sindaco della capitale d’Italia non si parlino? Davanti alle cure omeopatiche messe in atto da governo e dal Comune è forse emerso che al Campidoglio non hanno un’idea di città e a palazzo Chigi non hanno un’idea di Capitale? E soprattutto: basterà la sia pur blanda cura prefettizia per far ripartire Roma?
Alberto Asor Rosa, uno degli ultimi autentici intellettuali di sinistra, romano, non sembra aver dubbi: «Non entro nel merito dei singoli provvedimenti, anche se per la loro singolarità, appaiono fuori misura. Con lo spossessamento di alcuni poteri attribuiti ad un sindaco eletto, si profila una diarchia che non ha precedenti in tutta la storia unitaria e che difficilmente risolverà i problemi della città. Dopo la catastrofica amministrazione Alemanno, risanare Roma è diventato ancora più difficile: servirebbe un lungo periodo di buon governo, sostenuto da una solidarietà nazionale».
E il consolato non convince neppure un intellettuale di diverso orientamento, come Alessandro Campi, direttore della Rivista di politica: «È un po’ un pasticcio, perché è vero che i poteri del prefetto sono limitati, ma la diarchia di fatto è inevitabile perché sarà quasi fisiologico per Marino interpellare Gabrielli su questioni che vanno oltre il controllo formale degli atti». E d’alta parte è utopia immaginare che Roma possa rinascere a dispetto di un governo ostile. Il professor Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, racconta un episodio esemplare, che risale a 39 anni fa, quando Giulio Andreotti chiese ad alcuni intellettuali cattolici di candidarsi nelle liste della Dc per le comunali romane: «Io non accettai la proposta perché la posizione in lista, per come è fatta Roma, non ci garantiva dall’esser scavalcati da capi-corrente e capiclientele e infatti Vittorio Bachelet, che accettò, arrivò in diciottesima posizione. In una situazione del genere è difficile che un professionista affermato, un docente universitario, un personaggio della società civile possa accettare un coinvolgimento, se non c’è un imprinting politico». Ecco perché, sostiene De Rita, «l’immagine che meglio fotografa la situazione in cui si trova Roma è quella usata dal Papa, “orfandad”, che ha tradotto con “orfanezza”. Roma è orfana di una classe dirigente».
La capacità di ripresa di Roma dipende anche dalla risposta ad un’altra domanda: se l’affiancamento del prefetto al sindaco è l’unica idea prodotta dal governo per una capitale in crisi, questo non è l’ennesimo segno che l’Italia non sente Roma come la sua capitale? «Manca un’idea di capitale perché manca un’idea di Stato e di nazione - sostiene Campi - Nemmeno ci rendiamo conto di essere un Paese che non ha un centro nevralgico, un cervello dal quale partono gli impulsi. Oltretutto in questa fase siamo guidati da una classe dirigente che ragiona con una mentalità periferica: gli ex sindaci, come Renzi, si portano dietro i territori, vedono il potere capovolto: per quanto possano cogliere il valore Roma, finiscono per trattarla come una delle tante città».
Ma alla fine la ripresa o meno di Roma si giocherà soprattutto se il sindaco Marino riuscirà a riprendersi in mano la città. Sostiene Vittorio Emiliani, già direttore del “Messaggero” e oggi presidente del Comitato per la bellezza: «Le giunte di sinistra degli anni Settanta avevano un’idea della città, rompere il diaframma periferia-città e investirono qualcosa come mille miliardi di lire in un anno per risanare le borgate, anche Rutelli, con la “cura del ferro” e le cento piazze, dimostrò di avere una sua idea di Roma. Marino, che ha preso decisioni epocali sottovalutate, non ha ancora dimostrato di avere una sua idea di città».