La Stampa 29.8.15
Così Merkel ha preso l’Europa per mano
L’ultima uscita pubblica sull’immigrazione ha segnato il cambio di passo della Cancelliera Da rigorista economica a statista dell’Unione:riuscirà a trascinare gli altri Stati membri?
di Francesca Sforza
Sono mesi che i fantasmi della storia tedesca inseguono la cancelliera Angela Merkel. Prima si sono sollevati per mano dei greci, che nelle loro piazze hanno issato cartelli in cui la ritraevano in tenuta nazionalsocialista, poi si sono materializzati nell’inconscio collettivo di una più vasta Europa del Sud (Italia compresa) che sempre più spesso ne sottolineava le asprezze o, come nel caso dell’incontro con la piccola profuga palestinese che le chiedeva asilo ricevendo in cambio una generica assicurazione formale, la scarsa empatia con il grande problema dei rifugiati. Paladina dell’austerità nelle scelte economiche, personificazione del rispetto delle regole e delle quote in quelle politiche, questa era Angela Merkel fino a ieri, quando a Vienna ha spiazzato tutti i suoi colleghi durante il vertice sull’immigrazione con poche ma tonanti battute: «È l’ora di mostrarsi solidali, l’Europa è ricca, intervenga».
La Germania oscura
Non c’è soltanto il calcolo politico di breve e medio termine nella scelta di Angela Merkel di richiamarsi a un’Europa dei valori: stavolta Angela Merkel ha voluto guardare lontano, e lo ha fatto sull’onda di una scossa che le è venuta dal presidente della Repubblica Joachim Gauck. Mercoledì scorso infatti, dopo gli episodi di violenza xenofoba che avevano sconcertato l’opinione pubblica tedesca, il presidente, durante un incontro con alcuni rifugiati a Berlino, ha tirato fuori una parola che sembrava aver perso il suo posto nel dibattito nazionale: «Dunkeldeutschland». Letteralmente significa «Germania oscura», ma anche «il lato oscuro della Germania», ed era utilizzata agli inizi degli anni Novanta quando si trattava di integrare la parte Est del Paese. La Germania oscura era quella che resisteva all’accoglienza dei suoi fratelli, che per dieci anni ancora avrebbe usato l’espressione «matrimoni misti» per indicare l’unione tra un uomo di Amburgo e una donna di Dresda, che costruiva persino la sua comicità sull’inaffidabilità, la lentezza, la ristrettezza mentale di quelli dell’Est rispetto alla superiorità indiscussa di quelli dell’Ovest. Tornando a parlare di «Dunkeldeutschland» e del pericolo di ricadervi oggi trasferendone gli effetti sui richiedenti asilo, Joachim Gauck ha lanciato alla cancelliera un avviso che lei non può non aver raccolto: «Riconciliarsi anziché dividersi».
Il passato nell’Est
Merkel e Gauck non si sono mai amati, non è un segreto: vengono entrambi dall’Est, ma lui è stato uno della prima linea e della prima ora, e ha sempre considerato «la ragazza» come troppo compromissoria, troppo affascinata dalla macchina dell’intrigo politico, buona per un partito, non per un Paese. Ma il loro linguaggio è stato sempre lo stesso: sono cresciuti mangiando cetriolini sottaceto di marca sovietica, leggendo propaganda, guidando Trabant e sfidando la potenza occhiuta della Stasi. Non sono cose che si dimenticano, per questo il richiamo alla «Dunkeldeutschland» - e il dibattito che in Germania ne è seguito - deve aver avuto sulla cancelliera una risonanza particolare. Chi ha vissuto e combattuto per quella riunificazione, sa che la riunificazione è possibile. Anche quella dell’Europa. Il dramma dei rifugiati ha offerto ad Angela Merkel l’occasione per dimostrarsi all’altezza della storia. Quella difficile del suo Paese, ma anche la sua, e la nostra.