sabato 29 agosto 2015

La Stampa 29.8.15
Ora è Berlino a ricordare i diritti dell’uomo a Parigi
di Cesare Martinetti


Disperso nel mare, insieme ai migranti, c’è il fantoccio irriconoscibile di quel monumento che un tempo si chiamava «i diritti dell’uomo». Retorica, certo, ma quella retorica buona che si sedimenta dentro i riflessi istintivi di fronte alle tragedie come ai drammi individuali.
E che si legge nelle costituzioni occidentali e democratiche, compresi i principi fondativi dell’Unione europea. Secondo un’indagine Ifop, il più grande istituto di sondaggi, oggi i due terzi dei francesi sono contro l’arrivo di stranieri. Proprio in questo paese che ha fatto dei diritti dell’uomo una religione laica al punto da tradurne la pratica con un sostantivo – «droitdelhommisme» – e un aggettivo – «droitdelhommiste» – anche la lingua si ribella ed ormai i due termini sono usati più in senso derisorio che di positivo apprezzamento. Nel discorso comune un «droitdelhommiste» da nobile cavaliere che era, è diventato una specie di buonista all’italiana, ingenuo e un po’ fesso.
E così succede che a quel tradizionale appuntamento del dopo ferie che si chiama «l’université d’été», l’università dell’estate, del Partito socialista da ieri a domenica a La Rochelle, salvo ripensamenti dell’ultima ora, non è previsto nemmeno un dibattito sulla grande questione del momento: l’immigrazione. A questi stati generali del partito di François Hollande e Manuel Valls si parlerà di tutti i grandi temi dell’umanità, ma non dei migranti, o almeno non direttamente.
La solitaria iniziativa «per una battaglia di valori» dello storico Alain Bergounioux che è andato a lamentarsene direttamente all’Eliseo, secondo quanto racconta Le Monde, non ha avuto esito. Hollande gli avrebbe risposto che il governo non cambia linea su sicurezza e immigrazione e cioè «fermezza». Detto in altre parole si preferisce parlare di migranti e non di rifugiati, anche di fronte al flusso di siriani, per accampare giustificazioni di «sicurezza» e difficoltà economiche con il 10 per cento e oltre di disoccupati francesi. «Se Jean Jaurès fosse ancora vivo, mai avrebbe accettato che una causa umanitaria non venisse nemmeno considerata dal suo partito», ha commentato il «droitdelhommiste» Bergounioux.
Jaurès venne assassinato da uno studente nazionalista che voleva la guerra contro la Germania, centoun anni fa, giusto alla vigilia del Grande massacro. Oggi, anche grazie al fatto che esiste l’Unione europea, la guerra non c’è, per lo meno quella di un tempo. Ma Angela Merkel, andando mercoledì ad Heidenau, nel Sachsen, a Est, dove c’è stata l’ultima fiammata antistranieri di marca neonazi e pronunciando un durissimo discorso contro i diffusori di odio, ha dichiarato la sua guerra all’inerzia dei partner europei, a cominciare dalla Francia. La cancelliera ha così assunto di fatto il ruolo di leader dell’Europa più di quanto non avesse già prima: schiaffi ai violenti e agli intolleranti e apertura ai migranti con la revisione delle intese di Dublino che obbligano i rifugiati a chiedere asilo nel primo paese europeo in cui sono sbarcati. Non tutti sono d’accordo su questo passaggio, non lo sono i paesi dell’Est come Polonia e Ungheria, sempre avari di solidarietà. Vedremo fin dove arriverà la nuova leadership di Angela Merkel nella revisione delle regole in tema di immigrazione.
Ma la cancelliera ha compiuto una rottura politica ancora più forte e non solo simbolica contro i populismi se la si confronta con quanto accade negli altri paesi, Francia, Gran Bretagna e anche Italia, dove le politiche sono sempre più balbettate che affermate. È vero che l’opinione pubblica tedesca (un cittadino su cinque ha una qualche origine migratoria) al 60 per cento è favorevole all’accoglienza dei migranti, tuttavia anche Merkel (com’è accaduto per il salvataggio della Grecia) rischia di perdere voti. Ma un leader si misura anche su queste scelte che invece stanno letteralmente paralizzando Cameron e Hollande di fronte a Farage e Marine Le Pen e condizionano l’intero quadro politico italiano dove tutti (dal Pd, a Berlusconi, ai Cinque stelle) si sentono costretti a fare i conti con Salvini e il suo presunto appeal elettorale.
Mentre la questione immigrati è ormai diventata il cuore del dibattito pubblico in Germania, Le Monde ha rilevato ieri l’imbarazzato silenzio della politica francese. «È la vittoria dell’estrema destra», ha confessato nell’anonimato un ministro socialista. Si spera che l’onda Le Pen passi, confidando nel ridicolo delle beghe di famiglia tra il vecchio duce e la figlia Marine. Ma non sarà così. Giusto un anno fa il premier socialista Manuel Valls si chiedeva se la sinistra aveva un futuro. Di fronte a quel che sta succedendo in Europa si può dire oggi che se il futuro della sinistra è incerto, quello di una sinistra che dimentica i diritti dell’uomo è destinato a un sicuro esaurimento. Ci vuole una politica positiva, senza retorica, che non nasconda i problemi e che non abbia paura di affrontare gli spacciatori di soluzioni semplici. Proprio come ha fatto Angela Merkel.