venerdì 28 agosto 2015

La Stampa 28.8.15
“Gli embrioni non sono cose è lecito vietare la ricerca”
La Corte di Strasburgo dice no a una vedova di Nassiriya che dopo la morte del compagno aveva deciso di donarli
di Giacomo Galeazzi


L’embrione non è una cosa. «L’Italia non viola il diritto alla vita. E’ lecito vietare la ricerca». No di Strasburgo alla donazione agli scienziati degli embrioni da parte della vedova di Stefano Rolla, uno dei 19 italiani che persero la vita nella strage di Nassiriya del 2003. La Corte europea per i diritti umani ha stabilito che l’Italia ha rispettato la convenzione Ue vietando la donazione a scopo scientifico di «embrioni da fecondazione in vitro».
La volontà del defunto
La legge 40 aveva impedito ad Adelina Parrillo di donare gli embrioni da lei non utilizzati per gravidanze. Il partner morì prima dell’impianto e la compagna decise di donare gli embrioni a scopo di ricerca scientifica. «Non è noto se l’uomo avrebbe voluto fare lo stesso», dice la Corte. In Italia sono proibiti gli esperimenti su embrioni umani per motivi scientifici. Parrillo sosteneva che fosse legale averli conservati e quindi destinarli alla ricerca. «Strasburgo ha chiarito che l’Italia, vietando la ricerca che distrugge gli embrioni umani, non viola la Convenzione e tiene conto dell’interesse di tutti i soggetti coinvolti», commenta il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. Sul divieto di distruggere embrioni per fini di ricerca è atteso a ottobre il pronunciamento definitivo della Corte Costituzionale.
Scontro sulle provette
Adele Parrillo ha chiamato in causa l’Italia dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo e ha visto rigettato il suo ricorso. Era la compagna del regista e sceneggiatore, Rolla ucciso alla Base Maestrale mentre realizzava un lungometraggio sulla missione militare in Iraq. L’anno prima la coppia aveva deciso di crioconservare 5 embrioni. Dopo la morte del suo compagno, la legge 40 del 2004 ha impedito alla signora di donare per la ricerca scientifica i 5 embrioni congelati e conservati in clinica.
Esulta il Movimento per la vita: «Strasburgo riconosce che l’embrione non è oggetto di proprietà anche quando la sua vita è appena cominciata e si trova in una provetta, dunque non è una cosa. Le cose possono essere oggetto di proprietà, non gli esseri umani». Invece «Parrillo aveva fondato il ricorso sulla qualificazione dell’embrione come cosa e sul diritto fondamentale di proprietà che, secondo lei, le consentiva di disporre a piacimento degli embrioni». Ma per l’associazione Luca Coscioni «Strasburgo rinvia all’Italia la decisione». La sentenza «lede i diritti delle persone che soffrono e stanno aspettando cure: in Italia la ricerca viene effettuata sulle staminali embrionali che vengono dall’estero perché quelle italiane non si possono usare». E «il governo faccia terminare questa ipocrisia dicendo che gli embrioni non impiegati per la gravidanza possono essere utili per la ricerca». Infatti «nel mondo ci sono progetti di ricerca su Parkinson o malattie degli occhi basati sulle embrionali. Ue inclusa».
Ma la Corte europea ha riconosciuto la ragionevolezza della legge 40 a partire dal non avere ridotto gli embrioni ad una proprietà. Segnale inequivocabile.
Lo status dell’embrione
La decisione della Corte è fondata sul principio del consenso informato: mentre è sicuro che il compagno di Adele Parrillo avrebbe voluto far nascere gli embrioni, non vi erano indicazioni che avrebbe voluto donarli alla ricerca scientifica, osserva la bioeticista Cinzia Caporale: «Non si tratta di figli già nati, su cui una donna potrebbe rivendicare la piena potestà. Né di beni materiali su cui si possa esercitare proprietà. Sono embrioni, per i quali resta intatta la necessità di un accordo e di un consenso esplicito». Quindi «Strasburgo ha dato agli embrioni uno status diverso rispetto ai beni materiali e ai figli». Vale lo «status speciale» dell’embrione, resta un’Europa plurale sul tema: non c’è accordo tra gli Stati membri . In Italia non è obbligatorio il passaggio preventivo alla Consulta.