giovedì 27 agosto 2015

La Stampa 27.8.15
Colpiva pure dall’oltretomba il “papà” di Artemidoro
Geniale falsario, nazionalista greco anti-tedesco, agente di disturbo: Costantino Simonidis, presunto autore del controverso Papiro, per continuare ad agire indisturbato fece credere di essere morto
di Luciano Bossina


Il Papiro della discordia Acquistato nel 2004 dalla Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo come documento ellenistico, il Papiro di Artemidoro (a lato un dettaglio) è stato oggetto di una rovente battaglia filologica tra Salvatore Settis e Luciano Canfora, che lo ha attribuito a Simonidis

Sotto la guida di Wilhelm Stieber la polizia di Lipsia fece irruzione nell’appartamento: lo trovarono ben vestito, lo sguardo impassibile di chi non ha dubbi, la valigia già pronta alla fuga, il denaro della truffa mai speso, i libri in cui cercava ispirazione e tutti gli strumenti del mestiere: pergamene, inchiostri, calami e agenti chimici. Era il 1° febbraio 1856. Per tutta la vita Costantino Simonidis, il più grande falsario di testi antichi, produsse e diffuse manoscritti greci: ma quella volta era riuscito a ingannare addirittura l’Accademia Prussiana, il tempio della filologia classica. Il suo nome è tornato di attualità in questi anni per la querelle scoppiata intorno al Papiro di Artemidoro (presentato a Torino nel 2006 e acquistato a carissimo prezzo) tra chi lo ritiene un genuino prodotto ellenistico e chi lo attribuisce invece al genio di Simonidis. Ma i suoi falsi non erano solo atti di venalità: nessuno come lui seppe unire al talento la sfrontatezza, al cinismo l’ideale.
Protettori altolocati
Che intervenisse Stieber in persona è sintomatico: capo della polizia berlinese, esperto di spionaggio, specialista di reati politici. Che da Berlino si precipitasse a Lipsia (dove non aveva giurisdizione) dimostra che il caso Simonidis non riguardava solo dei manoscritti falsi. Scucire 2000 talleri a un filologo come Wilhelm Dindorf per un palinsesto fatto in casa, spacciare una propria opera come Storia dei re egizi di Uranio, superare persino i controlli al microscopio sulle due scritture del palinsesto, attestava una perizia impareggiabile, e dimostrava che i professori tedeschi erano stati raggirati da un autodidatta greco. Ma non era solo questo. Soltanto in apparenza Simonidis agiva come un cane sciolto: alle spalle, in tutta la sua carriera, ebbe sempre protezioni altolocate, dal partito conservatore greco al patriarcato russo, dalla massoneria inglese ai servizi segreti. Non era solo un falsario: era un agente di disturbo.
Nacque sull’isola di Simi negli anni Venti dell’800. Più precisi non si può essere: anche la data di nascita è falsa. Né si sa quando e dove morì. Quando s’accorse d’essere «bruciato» per le troppe truffe, fece diffondere sui giornali la notizia della propria morte, per agire indisturbato: si scrisse ch’era morto in Egitto, nel 1867, in un lazzaretto di Alessandria. Note autografe successive, e un falso papiro di Eschilo messo in circolazione molti anni più tardi, provano che Simonidis sapeva scrivere dall’oltretomba. E così lo scorso anno, quando l’Università di Vienna gli ha dedicato un convegno, non ha potuto far altro che scherzare sull’impossibile ricorrenza, sulle cifre che non saranno mai tonde («in occasione del presunto 194° anniversario»…).
Il tesoro nascosto
Cruciale fu in gioventù la frequentazione del Monte Athos. Nelle ricche biblioteche di quei monasteri imparò l’arte dei copisti bizantini, trafugò codici pregiati, ne tagliò i fogli più preziosi per rivenderli ai musei europei (come le carte geografiche di Tolomeo), inventò una leggenda che gli servì sempre da copertura. Raccontava di un tesoro nascosto, fatto non d’oro ma di manoscritti, nascosti dai monaci dell’Athos per sottrarli ai crociati, custoditi per secoli in un rifugio inaccessibile, riscoperti da uno zio immaginario e a lui lasciati in eredità. Per tutta la vita, ogni volta che esibirà le sue creazioni, millanterà sempre di averle trovate su quel monte. La sua missione era chiara: conciliare la fede ortodossa con l’eredità dei classici, per rinsaldare il nazionalismo ellenico. Nato negli anni della Rivoluzione, era questo il suo modo di servire la patria.
Quando approdò ad Atene aveva poco più di vent’anni, la borsa piena di falsi, e un risentimento insanabile per la Germania. Alla Grecia era stata imposta una monarchia tedesca, un re bavarese e un primo ministro luterano. Le rivendicazioni nazionalistiche non tardarono a manifestarsi (ciclicità della storia). Simonidis militò subito per il partito clericale e filorusso, agendo su un doppio fronte: l’invenzione del passato e la polemica nel presente. L’arma era sempre la stessa: i falsi. Riversò sul mercato meraviglie di ogni sorta: Omero, Anacreonte, Saffo, Esiodo. E mentre le commissioni governative valutavano quei tesori, Simonidis scatenò l’artiglieria pesante contro un missionario americano, Jonas King, che voleva convertire i Greci al calvinismo. Dichiarò ai giornali di aver assistito alle «orge» del missionario: donne discinte ed essenze odorose, icone date alla fiamme e bestemmie alla Madonna. Tutto inventato. Atene scese in piazza, King dovette scappare; i processi durarono anni; le più alte cariche dello Stato vi furono coinvolte: ministri, ambasciatori, persino il Re. Poi al largo del Pireo comparve una nave da guerra americana: nove colpi di cannone, e il caso King fu archiviato.
Un colpo da maestro
Ma intanto Simonidis era già a Costantinopoli. Lì cercò di piazzare una fantomatica Storia dei Fenici, un’ignota Storia degli Armeni, un Aristotele in alfabeto cario. Tutte opere inverosimili: più tardi imparò la prudenza. Nelle maggiori biblioteche europee, da Parigi a Lipsia e poi a Londra, si confrontò con la filologia più attrezzata, affinò le tecniche materiali. A collezionisti inglesi di dubbia moralità, metà vittime e metà complici, vendette decine di papiri, in parte ancora visitabili, altri spariti nel nulla (dove saranno?). Mantenne intatti gli interessi di sempre: geografia, pittura, teologia. E imparò a spiazzare gli avversari.
Quando Konstantin von Tischendorf rivelò al mondo di aver scoperto il codice Sinaitico della Bibbia, Simonidis annunciò gelido che non si trattava di un codice antico, ma di un prodotto suo. Un colpo da maestro: non solo passava per veri manoscritti falsi; passava per falsi i veri. I giornali inglesi si scatenarono, l’opinione pubblica si divise, missioni sul Sinai cercavano riscontri. Tischendorf commentò sprezzante: «Solo il popolo dei drammi shakespeariani può dar retta a Simonidis». Ma il caso indicò un curioso paradosso: e cioè che talvolta è più facile smascherare il falso che provare il vero. Di ciò almeno si consolano i difensori del Papiro di Artemidoro: per provarne l’autenticità cercano di mostrare che non può essere di Simonidis (ma un cadavere non resuscita se il presunto assassino ha un alibi). E così ancora oggi si è tornati a parlare di lui - e non solo come spettro del passato. Perché una sola cosa è certa: non si sa quando è nato, non si sa quando è morto, ma è ancora tra noi.