venerdì 21 agosto 2015

Il Sole Domenica 9.8.15
Storia della logica
Se il terzo non è escluso
L’intuizionismo Brouwer getta le sue radici in un misticismo alla Eckhart, ma si è poi rivelato formalizzabile e non così in contrasto con la matematica tradizionale che criticava
di Umberto Bottazzini


«Come scopo di una vita si potrebbe prospettare l’abolizione e la liberazione da tutta la matematica». Non è l’auspicio di uno studente liceale che si affatica senza successo con formule e teoremi, e si augura la completa sparizione della disciplina che tormenta i suoi giorni. Per quanto sorprendente possa sembrare, è invece l’appunto uscito dalla penna di Luitzen Egbertus Jan Brouwer, uno dei più grandi matematici del secolo scorso, al momento di preparare la sua tesi di dottorato. «Si dovrebbe rifiutare di far matematica, ma visto che siamo giunti a questo punto, si dovrebbe rifiutare di fare il passo successivo, cioè logica matematica», annota ancora Brouwer. «La matematica è indipendente dalla logica» mentre «la logica dipende dalla matematica», scriverà nella tesi. E in una lettera al suo relatore: «la logica teorica non insegna nulla nel mondo attuale […] Serve solo a avvocati e demagoghi, non per istruire gli altri ma per ingannarli». Questo tipo di annotazioni, francamente insolite per una tesi di dottorato in matematica, si spiegano col fatto che Brouwer immaginava di far precedere la tesi dal «credo filosofico», cui aveva dato voce nella primavera del 1905 in una serie di conferenze a Delft, poi raccolte nel libretto Vita, arte e mistica. È una lettura per molti versi sconcertante, e non solo per il linguaggio involuto e oscuro se non criptico. «Brouwer non ha pietà per i suoi lettori, anche l’originale olandese è arduo da leggere», ha scritto ha scritto Dirk van Dalen nella sua magistrale biografia L.E.J Brouwer – Topologist, Intuitionist, Philosopher. Ma anche le tesi che vi sono sostenute sono ardue da condividere. E tuttavia non sorprendenti se si guarda alle idee espresse da Brouwer fin dal 1898 quando, ancora studente, decide di aderire alla Remonstrantse Kerk, una chiesa protestante olandese la cui origine affonda le radici in oscure dispute teologiche del Seicento e, come richiesto dalla prassi di quella chiesa, scrive una personale professione di fede.
È un testo illuminante sulla concezione idealistica, se non solipsistica, del suo credo religioso: «La percezione di Dio e la fede in Dio non è un pensiero consapevole [..] ma è qualcosa che, siccome trascende il pensiero, non può essere pensato, e tantomeno scritto; è qualcosa che è legato all’ego inconscio». E ancora: «Detesto la maggioranza delle persone; a stento riconosco da qualche parte i miei propri pensieri e la mia vita spirituale; le ombre umane che mi stanno intorno sono la parte peggiore del mio mondo concettuale». Gli stessi toni permeano le pagine di Vita, arte e mistica, un vero e proprio un urlo di protesta contro l’ottimismo insito nell’idea di progresso. «Il triste mondo», che Brouwer descrive nelle pagine iniziali, è il mondo «snaturato» frutto della degenerazione dell’uomo che ha abbandonato il suo stato naturale, dove a suo dire «non esisteva lavoro né infelicità, non c’era odio né paura, e neanche piacere», uomini e animali «si lasciavano l’un l’altro indisturbati», finché «l’equilibrio si spezzò» e il creato fu snaturato dagli uomini per soggiogare la natura e cercare «il potere sugli altri e la certezza del futuro». Per contrasto col «triste mondo» Brouwer esorta a «volgersi a se stessi», a rivolgere l’attenzione al mondo interiore del sé, in pagine pervase da un afflato visionario e mistico, ispirato a teologi e mistici come il medioevale Meister Eckhart o il luterano Jakob Böhme le cui citazioni abbondano. L’intelletto «irrigidito nella testa» è, per Brouwer, il simbolo della caduta di un’umanità che brancola incapace di librarsi nel «volgersi a se stessi». Abbandonando il Sé, «che tutto conosce di passato e futuro» si è così generato un disorientamento circa il futuro e il desiderio di poterlo predire ha dato vita alla scienza, «l’ultimo fiore irrigidito della cultura». Quanto al linguaggio, ogni suo uso si rivela insufficiente se non ridicolo. Con esso gli uomini «perdono i loro desideri primari» e «per timore della solitudine la loro unica patria, diventano automi al servizio della macchina mostruosa: le relazioni sociali». La riconciliazione col mondo errante, si legge ancora in Vita, arte e mistica, avviene col riconoscimento e la soggezione al proprio karma, stabilito per ciascun uomo.
Alla donna Brouwer riserva un ruolo che, con un generoso eufemismo, si potrebbe definire ancillare. La stesura della tesi di dottorato rappresenta uno spartiacque nella vita di Brouwer, costretto ad un patto tra il suo ego e il mondo, «una sorta di tentazione simile a quella vissuta da santi e eremiti», l’ha definita van Dalen. Il suo relatore, l’anziano e autorevole Johannes Korteweg, si rende ben presto conto di aver a che fare con uno studente fuori del comune, che prima ancora della tesi ha scritto una serie di notevoli lavori di geometria e fisica matematica. Ma quando riceve Vita, arte e mistica, il suo commento è lapidario: «È vero che accanto a noi si aprono degli abissi, ma a me non piace camminarvi sull’orlo». Così, non esita a tagliare intere pagine di carattere mistico/filosofico dalla redazione che Brouwer gli sottopone. Quando viene finalmente completata nel 1907, la tesi di Brouwer annuncia una rivoluzione nel modo di intendere i fondamenti e di fare matematica. È l’atto di nascita della matematica “intuizionista” fondata sull’intuizione primitiva del tempo, sul carattere costruttivo degli enti matematici e la rinuncia a dimostrazioni per assurdo fondate sul principio del terzo escluso. Le tesi sostenute in Vita, arte e mistica finirono per apparire sconcertanti e imbarazzanti per gli stessi seguaci di Brouwer, e alla lunga prevalse la consegna del silenzio. Nell’edizione delle sue Opere ne furono pubblicati solo pochi stralci. Una traduzione inglese apparve solo nel 1996 e una riedizione in olandese nel 1913. Eppure, anche negli anni della maturità, Brouwer continuò a rivendicarne il contenuto, e ancora in un lavoro del 1949 scriveva che «la verità è solo nella realtà cioè nelle esperienze di coscienza presenti e passate» e che la matematica intuizionista è «la deduzione di teoremi esclusivamente per mezzo di costruzioni introspettive».
Nella recensione Alonzo Church, poco in sintonia con «l'epistemologia soggettivistica» di Brouwer, osservava tuttavia che la matematica intuizionista è passibile di una formalizzazione logica, alla quale hanno contribuito alcuni tra gli stessi intuizionisti, e così formalizzata, «acquista uno statuto intersoggetivo, e può essere difesa lungo linee meno drastiche e anche senza necessariamente attribuire una minore verità alla matematica classica». Come infatti è avvenuto.
L.E.J. Brouwer, Vita, arte e mistica , Adelphi, Milano, pagg. 194, € 13,00