venerdì 21 agosto 2015

Il Sole Domenica 9.8.15
Eva Cantarella
Perché Orfeo si volse?
di Dorella Cianci


Uno dei miti più noti e amati del mondo classico è quello di Orfeo ed Euridice, di cui Eva Cantarella ci fornisce un'elegante sintesi nel suo nuovo libro La dolcezza delle lacrime. Il mito di Orfeo, mettendone in luce i molti aspetti. Vediamo qui i punti salienti. Euridice aveva incontrato la morte sfuggendo a un tentativo di seduzione violenta e aveva lasciato in lacrime il suo inconsolabile amato, Orfeo, il cantore in grado di ammaliare ogni animo. Nel mondo greco, la poesia e la musica (sempre collegate) esercitavano una fascinazione sottolineata anche dal verbo greco thelgein (“ammaliare”), che descrive l’effetto del canto paragonabile alle magie amorose. E non è un caso, naturalmente, che la parola “fascinazione” derivi dal latino fascinus, “tecnica magica”. Ricorda Ovidio che gli innamorati traditi o respinti si ponevano dinanzi alle porte cantando e sperando che queste si aprissero, cioè sperando di sciogliere con il canto la durezza del cuore dell’amato (questa usanza è testimoniata anche da un genere letterario ellenistico detto paraklaysithyron, “canto dinanzi alla porta chiusa”). Orfeo non poteva vivere senza Euridice, stava impazzendo per il dolore e, secondo Ovidio – il mito catturò più il mondo latino che quello greco – neanche gli dei degli inferi riuscirono a resistere al suo canto: io ho voluto poter sopportare e non negherò di aver tentato, ma Amore ha vinto. Questo è un dio ben conosciuto nelle regioni superiori; se lo sia anche qui non so. Gli dei allora concessero la ben nota risalita di Euridice dal regno dei morti a patto che Orfeo non si girasse verso di lei prima dell’uscita dalle tenebre. Ma il tema del respicere diviene centrale: Orfeo si girò. Perché? Aveva patito così tanto la lontananza di Euridice da non poter aspettare neanche un secondo? Aveva condannato Euridice alla morte, per sempre, solo a causa di un amore eccessivo? Nelle fonti greche non si trovano molte tracce di quest’aspetto, nonostante la discesa agli inferi fosse cosa ben nota già nell’epica omerica. Eppure la faccenda non è molto chiara. Come mai Admeto aveva potuto riportare sulla terra sua moglie Alcesti, la migliore delle donne secondo Platone, la quale si era sacrificata per lui? Forse gli dei avevano giudicato troppo fiacco l’amore di Orfeo che voleva solo riportare in vita Euridice, senza però esser pronto alla morte per lei? Questa è l’interpretazione platonica, che come sappiamo però non vedeva di buon occhio i poeti, considerati un grave danno nell’educazione. Ci sono poi anche delle varianti tarde che parlano di un Orfeo vittorioso, il quale era riuscito a portare sulla terra la sua donna, ad esempio in un poemetto di Ermesianatte. Potrebbe anche esserci un’altra possibilità, proposta in una delle rivisitazioni del mito, quella di Cesare Pavese: Orfeo ha sperimentato la vita senza la sua amata, ha provato una nostalgia e un dolore ineguagliabili nel corpo e nell’animo, sa che la “nost-algia” è un dolore, un dolore per un ritorno che si anela, ma anche un dolore per un ritorno che implica un’altra inevitabile perdita nel regno del “niente è per sempre”, come banalmente si dice. E allora meglio lasciarla andare via o, forse, meglio non sperimentare il cambiamento di qualcuno che ritorna, ma non è più lui, perché ha vissuto nuove forti esperienze (qui si potrebbe citare anche Lei dunque capirà di Magris e l’Euridice di Vecchioni). Il libro si conclude con una riflessione sul mito e la storia attraverso Bachofen, antichista, filosofo ed esperto di diritto del 1815
Eva Cantarella, La dolcezza delle lacrime. Il mito di Orfeo, Mimesis, Milano, pagg. 68, € 5,90