venerdì 21 agosto 2015

Il Sole Domenica 9.8.15
Lezioni d’amore
Come rendersi amanti infelici
di Armando Massarenti


«Perse il senno a causa di un filtro d’amore e compose, nei momenti in cui la follia gli concedeva tregua, alcuni libri...» Parola di San Girolamo, tra i pochissimi autori – nell’antichità, ma anche nei secoli successivi – a dare delle informazioni sulla vita di Lucrezio.
Questo personaggio misterioso, conosciuto praticamente solo per la sua ambiziosa opera, il poema De rerum natura, questo grande scrittore a cui è attribuita una fine tanto tragica, legata alla passione (in palese contrasto con la filosofia di Epicuro di cui si professava seguace), può essere considerato un maestro d’amore?
Certamente, un innamorato. Come direbbe Virgilio (di un’altra amante sventurata, l’infelice Didone), e poi Dante nel Purgatorio, nei suoi versi sembra proprio di riconoscere «i segni dell’antica fiamma».
E certamente il De rerum natura una cosa di Lucrezio la rivela: che era davvero un maestro nell’individuare (e descrivere) i sintomi – il decorso, gli effetti – di quella singolarissima follia che noi chiamiamo amore.
La prima cosa da imparare è che l’amore, come già sappiamo da Catullo, non è un piacere puro ma è mescolato a un “oscuro impulso”, distruttivo e autodistruttivo, per forza da condannare in un’ottica epicurea visto che, tra desiderio, amarezza, speranza, incrina l’equilibrio e la serenità. «Anche nel momento del possesso tituba in incerti ondeggiamenti l’ardore degli amanti».
L’amore è una «delirante speranza che spesso è rapita dal vento», «una piaga segreta» che fa disperdere energie e logora il corpo e la mente, un tormento che non si placa perché «questa è la sola cosa di cui, quanto più possediamo, tanto più s’accende nel petto un desiderio selvaggio» e se anche «è lontano chi ami, è presente però la sua immagine, e il suo nome insiste dolce all’orecchio».
In un passo che ricorda da vicino anche Catullo e lo stile della poesia “nuova” romana («L’ozio, Catullo, ti dà travaglio, per ozio troppo esulti e brilli»), Lucrezio insegna poi che, se c’è un nemico per la serenità dell’uomo, questo è il tempo libero. «In mezzo alla fonte delle delizie rampolla non so che di amaro, e stringe alla gola perfino tra i fiori, quando l’animo consapevole si rode di trascorrere oziosa la vita e di perdersi con la lussuria, o perché essa una parola in senso ambiguo gettando ha lasciata, che confitta nel cuore innamorato si avviva come fiamma, o gli pare che lanci troppe occhiate o fermi lo sguardo su un altro, o vede nel suo volto il lampo di un sorriso».
Oltre alla battaglia contro l’ozio in quanto culla di tormenti, i “rimedi dell’amore” (per usare una bella espressione che darà il titolo a un trattato di Ovidio) ci sono e sono svariati, solo non facili da assumere. Scacciare l’immagine dell’amato ed elencarne i difetti può essere un buon inizio. Razionalizzare la propria situazione cercando di smorzare i sentimenti finché questi sono sul nascere, un’altra ottima strategia. Ma quello che è, forse, il rimedio per eccellenza è proprio l’attività filosofica che aiuta a mettere tutto in prospettiva. Se non si vuole finire come Lucrezio: innamorati folli, malati d’amore, o, come diremmo oggi, quantomeno molto stressati.