domenica 30 agosto 2015

Il Sole Domenica 30.8.15
Compressione del tempo
Luce e suono viaggiano a velocità diverse ma nel nostro cervello c’è un meccanismo nervoso che sincronizza spazio e tempo e che risulta particolarmente attivo nel linguaggio parlato
di Arnaldo Benini


Un uomo di 53 anni avvertì improvvisamente il torpore della parte sinistra del corpo, che durò alcune ore, e un gran mal di testa. Da allora i movimenti delle labbra di chi gli parlava non corrispondevano a quel che la persona diceva, come un film con audio e video non sincroni. La cosa era così sgradevole che smise di guardare in faccia gl’interlocutori (ne fissava la pancia) e cercò di comunicare il più possibile col telefono. La causa era un attacco ischemico nel lobo parietale dell’emisfero cerebrale destro. Due anni dopo il difetto della sincronizzazione audiovisiva del linguaggio era immutato. È un esempio di ciò che può succedere se non funziona il meccanismo nervoso della compressione del tempo, grazie al quale eventi mono- e multisensoriali (come suono e visione) sono percepiti sincroni e immediati, anche se in realtà non lo sono. La compressione del tempo, per quanto elusiva, è un evento nervoso chiave dell’esperienza sensoriale. La ricerca scientifica in questo campo è molto attiva con dati di grande interesse. Nel caso della stimolazione audiovisiva, sono sincronizzati un evento visivo e uno acustico, la cui elaborazione nervosa richiede tempi diversi. Gli stimoli dalla retina impiegano circa 30-50 millisecondi per arrivare all’area corticale visiva primaria del lobo occipitale, per il tempo necessario al trasferimento chimico della luce dai 106 milioni di fotorecettori di ogni occhio ai neuroni dei nervi ottici. Lo stimolo acustico impiega pochi millisecondi dall’orecchio alle aree acustiche temporali della corteccia cerebrale. Fino a circa 10 metri, il tempo della stimolazione ottica è sincronizzato con quello acustico, nonostante che questo duri 15-20 volte meno. Nelle corse di atletica la partenza è data con un colpo di rivoltella anziché con un lampo. I neuroni della corteccia uditiva, alla distanza in cui si trovano gli atleti, reagiscono al suono più in fretta delle aree visive alla luce. Le onde elettromagnetiche della luce viaggiano a tre miliardi metri, le onde acustiche a 330 metri al secondo. Alla distanza di 10-15 metri (orizzonte della simultaneità) la maggior velocità della luce nell’aria compensa la lentezza dell’elaborazione nervosa, e le due stimolazioni arrivano simultaneamente ai meccanismi della coscienza. Da 10-15 a 40-50 metri la percezione audiovisiva, nonostante la velocità della luce e la lentezza del suono, è simultanea grazie alla compressione del tempo dell’elaborazione acustica; oltre i 40-50 metri l’esperienza acustica e visiva non sono simultanee. Prima si vede il lampo, poi si sente il tuono. La sincronizzazione degli stimoli avviene non perché nel cervello ci sia un arco temporale ampio in cui collocarli, ma perché esso modifica il senso della durata secondo la distanza della sorgente acustica e visiva. Oltre al tempo, il meccanismo nervoso valuta anche lo spazio dell’esperienza audiovisiva. L’elaborazione temporale corticale precoce avviene nell’insula, nella parte posteriore del talamo, nella corteccia prefrontale, occipitale e parietale. Essa è particolarmente attiva per il linguaggio parlato, il cui ruolo di comunicazione e stimolazione é fondamentale per la percezione e per la conoscenza. La sincronizzazione, fin quando il cervello funziona bene, è stabile anche se diversa da persona a persona. La storia clinica riportata indica che una delle aree della simultaneità è nel lobo parietale destro, che è parte della rete dell’elaborazione temporo-spaziale.
La compressione del tempo avviene anche nelle percezioni monosensoriali: se siamo toccati simultaneamente in faccia e in un piede, siamo coscienti dei due toccamenti nell’istante in cui avvengono, anche se lo stimolo dal piede impiega 30-40 e dalla faccia 5-10 millisecondi per arrivare all’area parietale somato-sensoriale dell’emisfero controlaterale. Da qui ai meccanismi della coscienza l’informazione impiega poi 300-400 millisecondi, compressi in modo da non essere avvertiti. Con la crescita corporea, si allungano i tempi della comunicazione ascendente e discendente fra cervello, tronco ed estremità e la conduzione nervosa perde velocità. La simultaneità della percezione cosciente rimane invariata.
La flessibilità del tempo condiziona il senso della causalità. Esso richiede la regolarità dell’esperienza temporale per stabilire che A é causa di B, e che ad A segue B. Anziché lineare e costante, come ci appare nella deduzione causale, lo scorrere del tempo fra causa ed effetto è rimaneggiato in una scala inferiore al secondo. Il sistema percettivo attenua l’incertezza e l’ambiguità della causalità comprimendo il senso della durata fra causa ed effetto. 12 volontari premevano un tasto. 250, 450 o 650 millisecondi dopo si sentiva un suono. I volontari dovevano valutare la durata dell’intervallo fra premere il tasto e il suono. La durata soggettiva era inferiore a quella dell’orologi di cinque fino a 103 millisecondi. La durata è compressa anche se si conosce la causa senza esserne l’artefice. La consapevolezza della causa comprime il tempo, l’intenzionalità lo accorcia ulteriormente. La compressione può arrivare all’inversione dell’ordine temporale. Volontari premevano un tasto al quale, dopo un intervallo di 35 o 135 millisecondi, seguiva un lampo. L’intervallo soggettivo era inferiore a quello dell’orologio. Se l’intervallo era ridotto al minimo, il lampo era visto prima di premere il tasto. Nel momento dell’illusione del lampo che precede la pressione del tasto, la risonanza magnetica funzionale mostra l’attivazione intensa di un’area ai margini della corteccia cingolata e della corteccia frontomediale di entrambi gli emisferi. Un’attività così intensa per un’illusione fa supporre che il cervello reagisca all’inversione della codificazione basilare del tempo. La durata soggettiva dell’osservazione - oggettivamente uguale - di un cibo che disgusta è inferiore a quella di un cibo che piace. Ci s’illude di comprenderne più in fretta la natura e quindi l’eventuale pericolo. Il neurofisiologo Benjamin Libet stimolò elettricamente l’area corticale somatosensoriale di una mano di pazienti durante operazioni al cervello in anestesia locale. Dopo circa mezzo secondo il paziente avvertiva un formicolio nella mano: tanto durava l’elaborazione da parte della corteccia di uno stimolo che diventa cosciente. Se è toccata la mano, l’area somatosensoriale dell’emisfero controlaterale si attiva dopo circa 30 milli-secondi, e raggiunge la soglia della coscienza dopo circa mezzo secondo, anche se la consapevolezza dell’essere toccati sembra simultanea al toccamento. Se contemporaneamente al toccamento si stimola anche la corteccia, il toccamento è avvertito prima del prurito della stimolazione corticale, perché, a differenza della stimolazione della corteccia, il tempo della stimolazione dalla mano al cervello è compresso. La consapevolezza del mondo sensoriale, soggettivamente simultanea allo stimolo, avviene in realtà dopo circa mezzo secondo. Il presente, eliminato dalla fisica quantistica e della relatività, è retrocesso al passato codificato dai meccanismi cerebrali. Il presente esiste come contenuto illusorio della coscienza creato dalla compressione del tempo. Le neuroscienze confermano la realtà del tempo, misurato sia con macchine create dalla razionalità (che mostrano, ad esempio, che il tempo misurato sul pavimento scorre a velocità diversa se l’orologio è sul tavolo) sia nella flessibilità dell’esperienza. È verosimile che i vari aspetti del senso del tempo non siano regolati da un meccanismo centrale, ma da una rete di tutto il cervello e del cervelletto. La compressione del tempo è misurabile ed è un meccanismo essenziale dell’esperienza sensoriale. Si conoscono le aree cerebrali che la realizzano. Ed è, ciononostante, molto elusiva.
Brain and Language 98,66-73, 2006; Psychological Science 20,1221-1228, 2009; Neuron , 51, 651-659, 2006; Emotion 9, 457-463, 2009; Journal of Neurophysiology 27, 546-578, 1964; Annals of the New York Academy of Sciences 1326, 60-71, 2014;