domenica 30 agosto 2015

Il Sole Domenica 30.8.15
Buona divulgazione
Al popolo fai sapere
di Gilberto Corbellini


Breve ma veridica storia della comunicazione scientifica, dall’800 alla neuropsicologia. Da abbattere oggi sono i pregiudizi morali
La comunicazione della scienza al largo pubblico è oggi ritenuta un dovere civile per gli scienziati, in ragione del fatto che essi consumano una parte di risorse economiche e perché non è chiaro a molti come e perché questi investimenti si trasformano in miglioramenti economici e sanitari. In realtà non è stato sempre così. Fino a quando gli scienziati e gli ingegnieri erano attori sociali considerati degni di fiducia, in quando il modo in cui concorrevano alla soluzione dei problemi e al benessere era particolarmente clamoroso, non servivano medizioni e mediatori tra una comunità scientifica peraltro molto ridotta e il resto della società. Il divulgatore nasceva alla fine dell’Ottocento. Era uno scrittore di scienza popolare, che non era divulgazione scientifica, come la intendiamo oggi, ma costituiva un mercato editoriale di produttori e consumatori di cui erano protogonisti gli stessi scienziati. La maggior parte degli scrittori di scienza popolare, i divulgatori, erano infatti gli stessi protagonisti della seconda rivoluzione scientifica, in quali esponevano le loro idee in forme accessibili per il largo pubblico. Di fatto essi avevano una base di cultura umanistica ancora rilevante e scrivevano in modo eccellente. Molti di quei testi esprimevano una filosofia positivista che coraggiosamente guardava oltre quello che era in quel momento davvero comprensibile.
Agli inizi del Novecento la scienza popolare entrava in crisi. Il giornalismo assumeva una rilevanza culturale crescente e creava l’immagine degli scienziati come individui eccezionali che vivono in un altro mondo, fatto di conoscenze e valori fuori dalla norma. Che hanno quindi poco tempo da dedicare alla divulgazione. La prima guerra mondiale metteva però in luce, per la prima volta, l’ambivalenza della scienza nella società, per esempio quando uno dei più famosi scienziati e premi Nobel, Fritz Haber, metteva la sua intelligenza al servizio della produzione bellica di armi chimiche mortali. Iniziava allora una sollevazione culturale contro la scienza, a cui la filosofia speculativa prestava volentieri pseudoargomenti. Negli anni Trenta del Novecento emergeva l’idea che fosse una “responsabilità sociale” dello scienziato battersi perché gli avanzamenti scientifici si traducano in progresso sociale, e in questo senso l’attività di divulgazione intrapresa direttamente dagli stessi scienziati diventava un valore morale e politico. Tra le due guerra esplodevano però anche i totalitarismi, e all’interno del mondo scientifico si apriva una divisione. Da una parte gli scienziati che vendevano nella scienza uno strumento al servizio di qualche ideologia – in questo senso gli scienziati marxisti avevano certamente le idee più strutturate – e gli scienziati del mondo liberale, che avevano capito che la scienza può funzionare e concorrere al benessere umano solo se c’è libertà politica e che l’etica della ricerca scientifica è di fatto incompatibile con qualunque forma di totalitarismo.
L’idea che si afferma in occidente attraverso la divulgazione fatta anche dagli scienziati è che la scienza rappresenta un livello di conoscenza fondamentale indipendente dal contesto sociale. In realtà, proprio il fatto che gli avanzamenti scientifici producono una specializzazione linguistica che rende sempre più esoterica la scienza, apre la strada a fenomeni di simulazione da parte di forme di sapere irrazionalistico, senza che il pubblico, che al massimo arriva a sviluppare una comprensione nozionistica della scienza, riesca spesso a discriminare tra le due forme di “esoterismo”, e quindi con l’emergere di nuovi rischi per l’autonomia della scienza stessa.L’invenzione delle armi atomiche indirizzava dagli anni Cinquanta del Novecento la comunicazione scientifica verso un’attività di persuasione del pubblico sui benefici che la scienza e la tecnologia possono recare alla società, a cominciare dalla dimostrazione che l’energia atomica può essere utile soprattutto in tempo di pace. Si determinava un ricca produzione di testi divulgativi, vere e proprie collane, dove erano sintetizzare in modo accessibile le conoscenze di base in ogni particolare settore disciplinare. Nascevano anche le figure dei mediatori nella comunicazione tra scienziati e pubblico: giotnalisti e scrittori di scienza. Il giornalismo scientifico assumeva nel tempo due aspetti: da un lato la ricerca dell’accuratezza dell’informazione con una difesa della libertà del giornalista anche nei riguardi delle fonti scientifiche accademiche, dall’altro un giornalismo con l’obiettivo di difendere la dignità della scienza e lottare contro la pseudoscienza. Al di là delle tensioni tra giornalisti e scienziati negli ultimi decenni del secolo scorso, la comunicazione scientifica assumeva l’esistenza di una domanda sociale di informazione e di un “golfo” di ignoranza pubblica da riempire, nonché di un’audience passiva che funziona da ricevente in un processo di trasmissione unidirezionale dell’informazione.
Gli anni Sessanta e Settanta del Novecento registrano nuove idee sulla divulgazione. Emerge la critica politica, da parte dei partiti e movimenti di sinistra, della scienza e soprattutto della sua pretesa neutralità. Famosa in questo senso l’esperienza di Science for people negli Stati Uniti, ma soprattutto in Italia la sinistra ha creato le condizione per tragiche manipolazioni politiche e populiste. Il caso ogm è in questo senso esemplare. Nel frattempo il mondo accademico sviluppava il concetto di “cultura scientifica”, inteso come tentativo di integrare la scienza nella cultura generale, principalmente con lo scopo di prevenire l’isolamento degli scienziati. Negli anni Ottanta nasceva la contrapposizione tra gli approcci sociologici, che connotano e studiano la comunicazione scientifica come se fosse l’ideologia sociale di una particolare comunità professionale quali sono gli scienziati, e il movimento del «public understanding of science», ispirato al tradizionale modello unidirezionale del flusso dell’informazione e motivato dall’idea che la crisi nei rapporti tra scienza e società sia dovuta a un deficit di conoscenze scientifiche. Tra le conseguenze di questo movimento c’è stata la proliferazione dei science center come momento educativo/comunicativo per rispondere insieme alla domanda di informazioni/conoscenze e alla scoperta di un diffuso analfabetismo scientifico nella società. Negli anni la filosofia della comunicazione scientifica ha cercato sempre nuove strategie per coinvolgere attivamente il pubblico dei fruitori. Il futuro della comunicazione scientifica dovrà fare i conti con le prove scaturite dalle scienze cognitive e neuropsicologiche, da cui si evince che la disposizione epistemologica di chi riceve il messaggio è più determinante del messaggio stesso per quel che riguarda gli effetti della comunicazione.