venerdì 21 agosto 2015

Il Sole Domenica 2.8.15
Lezioni d’amore
Viva Catullo! (con Lesbia o no)
di Armando Massarenti


Catullo è davvero esistito? Così si chiedeva il latinista e scrittore Luca Canali e noi, dubbi filologici a parte, prendiamo sul serio, con tutta la forza dell’immaginazione filosofica, la sua provocazione.
È evidente per chiunque legga i suoi carmi che «la vita di Catullo sono le sue poesie, ben più che le vicende esterne – poche a nostra conoscenza – della sua biografia», come scrive ancora Canali. Migliaia di versi composti mentre nella vita cittadina di Roma infuriavano conflitti e rivolgimenti tali da dilaniare il tessuto sociale e indurre la “meglio gioventù” del tempo a ripiegare sulla dimensione privata, seguendo per il possibile la lezione epicurea del lathe biosas (vivi nascosto).
Sono poesie, quelle di Catullo, che tratteggiano una parabola fatta d’amore e passioni d’ogni sorta, amore disperato per la musa Lesbia (al secolo, forse, Clodia), ma anche complicità e amicizie con compagni di giochi poetici e bevute, così come attrazioni intense verso amanti occasionali, odio acre e fitta nostalgia, affetto per luoghi densi di ricordi, luttuosi o lieti (Roma e il Garda, Sirmione e l’Asia), improvvise fiammate di ira e ironia, espresse nei suoi endecasillabi e giambi più infuocati. Ma il “pensiero dominante”, per dirla con Leopardi, è sempre Lesbia.
Continuando quindi nel gioco d’immaginazione: davvero è esistita Lesbia? E in fondo, davvero importa? Secondo Canali, no. Se non fosse esistita, «Catullo se la sarebbe inventata», per dar sfogo a tutta la sua arte poetica, per esprimere in un originalissimo diario intimo, meditato e spontaneo insieme, la sua personale “filosofia dell’amore”.
Certo, forte è la tentazione di immaginare Catullo e Lesbia come due amanti da romanzo, direttamente usciti da uno degli scenari, intriganti e lascivi quanto basta, raffigurati dall’altro grande poeta dell’amore latino, di poco successivo a Catullo, Publio Ovidio Nasone. Vediamo così Lesbia accomodata accanto al marito in un’occasione mondana mentre lancia segnali allusivi all’innamoratissimo Catullo, utilizzando gli stessi gesti sapienti che, non molti anni dopo, Ovidio avrebbe consigliato a tutti gli amanti clandestini nella sua Arte di amare: contatti pretestuosi e furtivi, cenni del viso, messaggi tracciati con le dita sui bicchieri, parole che ne sottointendono altre.
Del resto, un quadretto non molto diverso ritroviamo proprio in una delle poesie del Liber (carme LXXXIII), una scena a tre che ben poco ha di allusivo: «Lesbia, in presenza del marito, mi strapazza. Quel pagliaccio se la gode un mondo. Bestia, non capisci niente. Se m’avesse dimenticato, lei, e non parlasse, sarebbe ormai indifferente...».
Quanto di vero e quanto di “romanzato” ci fu nella tormentata vicenda di Catullo e Lesbia, sullo sfondo di una Roma in grave crisi politica e morale, probabilmente non lo sapremo mai. Ma di certo non possiamo negare quanto di vero c’è nelle parole stesse dei carmina, ovvero la grandissima abilità di Catullo nel mostrarci tutta intera la sfera dell’amore. Anche nelle sue forme più paradossali, quando affetto, attrazione e disprezzo sono mescolati insieme.
E non pensiamo soltanto alle immagini più note, i “basia mille” invocati da un innamorato insaziabile, la vista non più a fuoco o il ronzio di sangue alle orecchie di saffica memoria (carmi V e LI).
Contemporaneo – secondo la tradizione – di Lucrezio, ma molto meno abile si direbbe nell’imparare la lezione del “farmaco” di saggezza che solo (secondo Epicuro e i suoi seguaci) permetterebbe di raggiungere la tanto agognata imperturbabilità, il “Miser” Catullo non smette di tormentarsi. Ma offre, così facendo (soffrendo, sperando, scrivendo), al lettore un dono prezioso: una ricchissima, inconfutabile, sempre attuale sintomatologia dell’amore. Una lezione filosofica e poetica per cercare, forse, di curarsi dall’amore. Curandosi dell’amore. Il sentimento variegato, ossimorico e paradossale che ancora noi, millenni più tardi, al ritmo dei suoi versi conosciamo e riconosciamo.