venerdì 21 agosto 2015

Il Sole Domenica 2.8.15
L’eredità greca in tre puntate / 1
L’Europa è un’agorà
Benché riguardasse solo il 10% dei cittadini l’idea di democrazia come oggi la conosciamo fu un’idea innovativa nata nella piazza di Atene
di Glenn Most


Così come tre anni fa pubblicammo la fortunata serie di Carlo Rovelli «Tutta la fisica in tre puntate», ora abbiamo chiesto a uno dei maggiori filologi classici in campo internazionale, professore di Filologia greca alla Normale di Pisa, di riassumere in tre puntate, ad uso di ogni persona colta, tutti gli elementi essenziali dell’eredità della cultura della Grecia antica che tuttora ci riguarda

In questa torrida estate del 2015, i politici europei (due parole greche) stanno accesamente disputando coi greci, tra di loro, con gli economisti e soprattutto con i loro elettori se la Grecia debba rimanere o meno a far parte dell’unione economica e politica europea e in che termini. La possibilità che Grecia e Europa seguano strade diverse ha riacceso vecchi dibattiti su quale sia il posto della Grecia in Europa. I demagoghi (altra utile parola greca) di entrambe le parti hanno detto, l’uno, che non è concepibile un’Europa senza la Grecia, l’altro, che l’Europa può far benissimo a meno della Grecia. Entrambe le asserzioni, troppo semplicistiche, sono false. La verità, come sempre, è più complessa.
È solo geograficamente, e comunque solo parzialmente, che la Grecia appartiene al continente europeo con un rapporto di necessità. Ma certo l’argomento, quest’estate, non verte sul territorio ed i suoi confini. Per l’eredità culturale il discorso è diverso, e si tratta non di necessità bensì di scelte libere, giacché il presente si definisce in termini dei suoi propri interessi e progetti, selezionando liberamente dal passato quegli aspetti che si vuole siano rilevanti. Queste scelte sono sempre parziali e sempre motivate; il presente distorce il passato a proprio uso e per i propri piani futuri. La Grecia non è soltanto un angolo geologico di terra in Europa, ma anche il luogo dove, alcune migliaia di anni fa, alcune migliaia di uomini inventarono istituzioni culturali che continuano a determinare l’identità del mondo moderno nella quale alla maggior parte di noi piace riconoscersi. Dunque la questione su che cosa significherebbe una Grexit alla fine ammonta alla questione su quale tipo di Europa vogliamo identificare come nostro e su quali scelte vogliamo strategicamente fare tra quello che la Grecia antica (così come altre tradizioni del passato) può offrire per aiutarci a fornire una legittimazione storica alla nostra identità.
E allora che cosa può e che cosa dovrebbe significare la Grecia antica per noi oggi in Europa? Troppo alla domanda si è risposto con vaghi appelli a nozioni alquanto semplicistiche (la razionalità, la scienza, la democrazia, la libertà), le quali non rendono giustizia delle complessità e delle contraddizioni della società greca antica né delle nostre. In questa mia serie di interventi vorrei mettere a fuoco il significato e i limiti di tre specifiche istituzioni che l’antica Grecia ha creato e che restano importanti per la nostra identità moderna: la politica, il teatro e la filosofia.
Per comprendere il concetto greco di politica, consideriamo quali monumenti appartenenti al quinto secolo a.C., i turisti in visita a Atene vedono (e quali non vedono). Proprio come in altre città antiche nel vicino Oriente, in Asia o altrove, i turisti visiteranno i numerosi templi eretti agli dei in cui si svolgevano le pratiche religiose di quelle comunità. Ma c’è qualcos’altro, presente quasi universalmente, che non troveranno a Atene: un palazzo, una residenza fortificata per il re, la sua famiglia, i suoi schiavi e le sue guardie. Non ce n’erano di palazzi nell’Atene antica, perché dopo i tempi mitici non ci sono stati re (i re ateniesi appartenevano a un’era primeva, quando gli uomini nascevano direttamente dalla terra ed erano in parte umani e in parte serpenti). Il centro intorno al quale l’antica Atene fu organizzata non fu un palazzo imponente, ma uno spazio vuoto chiamato l’agorà. Agora viene da ageirô, “raccogliere insieme”, e l’agorà fu il luogo aperto in cui gli uomini Greci, dopo aver lasciato a casa le particolarità familiari, si radunavano in uno spazio pubblico per scambiarsi due tipi di beni: usando l’agorà come mercato, vi andavano a comprare e vendere provviste (agorazô significa “comprare”); e usando l’agorà come luogo di assemblea politica, vi venivano a discutere gli affari della città (agoreuô significa “parlare pubblicamente”). E siccome nessun nucleo familiare potrebbe approvvigionarsi di tutti i beni di cui necessita, dipendente com’è dagli scambi commerciali con gli altri, così vi erano questioni che coinvolgevano non tanto questa o quella famiglia ma tutte le famiglie della città. L’agorà era uno spazio che non apparteneva a nessuno ma a tutti, in cui gli uomini Greci trattavano faccende di tutti, non come membri di una famiglia ma come cittadini appartenenti alla città.
Gli antichi Greci inventarono la politica nel senso della pubblica e ordinata riflessione, discussione e determinazione del potere nella loro comunità. Il termine viene da polis, “città”. Quando Aristotele definisce l’essere umano come zôon politikon, “animale politico”, combina due idee che sono fondamentali nel pensiero greco antico: la prima, che solo gli esseri umani, ma tutti gli esseri umani, vivono in città, a differenza degli dei e degli animali che sono autosufficienti e che non hanno bisogno di città o non possono fruirne; la seconda, che è una delle funzioni essenziali degli uomini di partecipare alla vita politica. La politica non era solo l’espressione dei limiti e dei bisogni umani; era anche il modo più elevato di realizzare l’essenza dell’essere umano. In altre società antiche, il potere politico era monopolio di un ristretto gruppo di persone che erano legittimate dalla famiglia, dalla storia e dalla religione; nella Grecia antica, invece, era spesso considerato come qualcosa da condividere con tutti i cittadini. Essere un cittadino significava non sottomettersi passivamente alle decisioni del governo, ma impegnarsi in prima persona nel determinarle.
La forma greca più estrema della nozione di condivisione del potere politico fu chiamata democrazia («il potere che appartiene al corpo dei cittadini») e fu associata in particolare a Atene. Chi oggi glorifica la democrazia ateniese non dovrebbe dimenticare i suoi limiti: tutti i cittadini erano maschi (niente donne, dunque); tutti avevano una certa età (dunque nessun bambino e nessun adolescente); tutti erano nati liberi (dunque nessuno schiavo e nessuno schiavo liberato); tutti erano ateniesi (dunque nessun straniero, anche se residente). Di tutte le persone che vivevano ad Atene, forse il 10 per cento aveva il permesso di partecipare alla vita politica; l’analogia più vicina all’idea di democrazia ateniese nel mondo moderno non è l’attuale Europa occidentale, bensì il Sud Africa durante l’apartheid. Inoltre, la democrazia stessa, nella Grecia antica, si limitava ad Atene e a altre poche città, e anche a Atene durò soltanto un paio di secoli e fu ripetutamente rovesciata da rivoluzioni oligarchiche.
Ciononostante, l’idea che siano i cittadini stessi coloro cui sia permesso di determinare la politica per la loro città (discutendo pubblicamente e liberamente, incontrandosi in assemblea, e votando a maggioranza) fu un’innovazione dell’antica Atene. Questa idea penò a svilupparsi se non in pochi altri posti nell’antichità; ma dopo, fu presa consapevolmente a modello nello sviluppo del nostro senso della politica e resta elemento cruciale della nostra identità politica oggi. Se noi europei sentiamo che le decisioni sul futuro dell’Europa, incluse quelle sulla Grecia, debbano essere messe in discussione apertamente e decise democraticamente, è perché, in un certo senso, siamo tutti ateniesi.