venerdì 21 agosto 2015

Il Sole Domenica 26.7.15
Peire Cardenal
Poeta di eresia e di lotta
Dopo 25 anni di lavoro esce una coraggiosa e mastodontica edizione critica del capostipite della letteratura europea, il cantore della Crociata contro gli Albigesi
di Lorenzo Tomasin


«Ben tenh per folh e per muzart / selh qu’ab amor se lia, / quar en amor pren peior part / aquelh que plus s’i fia» (“Considero folle e stupido chi si lega ad amore, perché in amore chi più si fida prende peggior partito”). Consiglierei vivamente a Sergio Vatteroni di ritagliare una selezione o un’antologia di testi tradotti e sobriamente annotati dalla monumentale edizione critica del trovatore Peire Cardenal che egli ha pubblicato per la Collana di filologia romanza dell’editore Mucchi, cioè per una delle collezioni che fanno dell’Italia la vera patria editoriale odierna della più antica poesia della letteratura europea, quella dei poeti provenzali medievali (dei quali la cultura francese, come di tanto altro, ormai si disinteressa quasi del tutto).
Glielo consiglierei non tanto perché le oltre mille pagine complessive dei due volumi dedicati a Cardenal – pubblicati, occorre dirlo a merito dell’editore, senza il soccorso di alcun finanziamento esterno – siano inservibili per il pubblico colto che poi è l’unico che ancora va in libreria. Anche in questi due tomi infatti i testi sono limpidamente tradotti, minuziosamente commentati, accuratamente inquadrati nel tempo e nello spazio. Tutto, dunque, fuorché inservibili o inaccessibili. Ma è certo che una scelta ragionata metterebbe davvero in valore un’operazione culturale che si può ben dire eroica. Il lavoro di Vatteroni – oggi professore di Filologia romanza a Udine – sul trovatore che Gianfranco Contini definì «unico vero poeta del periodo» in cui visse, è durato quasi tre decenni, e ci consente ora di conoscere da vicino quello che già nel Medioevo era considerato un caposcuola.
Parlando di poesia provenzale, è naturale pensare a quella amorosa, che della lirica occitanica è effettivamente il nocciolo: ma Peire, come mostra il passo con cui abbiamo iniziato, s’atteggia verso le tematiche amorose a beffarda sufficienza. Più di rado si riflette sul fatto che la storia dei trovatori è anche storia di una violenta lotta politica e religiosa, il cui epicentro fu proprio la Tolosa del pieno Duecento nella quale il nostro vive, opera e scrive. Cavaliere (forse), nato a Le Puy-en-Velay, nell’Alta Loira, all’inizio del secolo, Peire passò la sua lunga vita come molti suoi simili, offrendo i suoi servigi a nobili impegnati tanto in lotte politiche intestine quanto in violenti scontri a sfondo religioso che con quelle si intersecavano. Sono i tempi della cosiddetta crociata contro gli eretici albigesi, e Peire Cardenal si impegna in un’offensiva poetica contro la corruzione, la cupidigia e l’ipocrisia del clero, che ostenta povertà e mitezza ma è pronto alle peggiori condotte, e lesto nel soffocare ogni forma di dissenso. Ah, ribaldi: «s’ieu fos maritz molt agra gran fereza, / c’om desbraitz lonc ma moiller segues, qu’ellas ez els an fauda d’un amplesza, / e fuec ab grais fort leume s’es enpres » (“se fossi un marito sarei molto preoccupato che un uomo senza brache [come appunto erano i frati] fosse seduto accanto a mia moglie, perché le donne e i frati hanno gonne ugualmente ampie, e fuoco con grasso è sempre divampato molto facilmente” – e si prenda pure il tutto in senso ovviamente e poderosamente metaforico).
L’esperienza di lettura di simili testi è quella tipica di tanta letteratura medievale : il lettore moderno è di continuo visitato dallo straniamento che è funzione della distanza ormai incolmabile di riferimenti, allusioni, toni e argomenti che sono sideralmente lontani dal nostro stesso concetto di letteratura. Ma spesso, tra le maglie di una lingua sorprendentemente comprensibile e liquida pur nella sua remota antichità, il testo si apre a una modalità sentenziosa che sembra non avere tempo, e che ritrae uomini e costumi con quella che rischia (a torto) d’apparirci come una sbalorditiva naturalezza: « El mon non a thezaur ni gran ricor / que si’aunitz, sapchatz, qu’ieu prez un guan, / qu’aitan tost mor, mas non o sabon tan, / avols cum bos, e vida ses valor / pretz meyns que mort » (’Non c’è al mondo tesoro o grande ricchezza che, quando sia disonorevole, sappiate, io stimi il valore di un guanto, perché muore altrettanto presto il malvagio come il buono, ma non sembrano rendersene conto, e una vita senza il valore la stimo meno della morte”). Oppure gioca, con gusto curiosamente vicino a quello di noi posteri, affastellando enumerazioni caotiche simili a filastrocche ancestrali, come quella dedicata agl’ingredienti di un misterioso unguento : « de neula e de ven es tot lo pus e.l mays/ vieuladura e lays / y a mes e sos grays, / e critz d’escaravais / e trufas de Roays… » (“Di nuvola e di vento è la maggior parte, arie di viella e lais vi ha messo, e gaie melodie, e il verso dello scarafaggio, e tartufi di Edessa…”). Molto più di questo è Peire Cardenal, che converrà tener presente come esemplare di un mondo e di una poesia sulle cui reali coordinate e sui cui puntuali significati non cessiamo di interrogarci, meravigliandoci soprattutto di come tutta quest’antica storia di eresie e di rivolte spirituali continui tenacemente a interessarci e forse a coinvolgerci.
Sergio Vatteroni, Il trovatore Peire Cardenal, Mucchi, Modena, pagg. 1080, € 110,00