venerdì 21 agosto 2015

Il Sole Domenica 19.7.15
Nel laboratorio dei poemi omerici
Le deviazioni di Ulisse
Molte storie di Iliade e Odissea nascono da leggende popolari, e rivelano influssi orientali. Come l’epico viaggio del nostro eroe
di Martin West


My heart’s grown heavy, my knees will not support me, that once on a time were fleet for the dance as fawns (il mio cuore è cresciuto pesante, le mie ginocchia non mi sostengono/ loro che una volta erano agili per la danza come quelle dei cerbiatti): traducendoli così in inglese, Martin West, scomparso lo scorso 13 luglio a 77 anni, ha fatto conoscere al mondo i nuovi versi da lui scoperti di Saffo. Ci ha lasciati il più grande grecista contemporaneo che ha dato contributi fondamentali in ogni campo della filologia classica: studioso della Teogonia e delle Opere e i giorni di Esiodo, ma anche il primo a costruire ponti nei rapporti fra filosofia greca e sapienza orientale, come recita la laudatio del premio Balzan conferitogli nel 2000. West è stato editore critico e commentatore dei testi più complessi della letteratura greca, fra cui i poeti giambici ed elegiaci per le edizioni oxoniensi. Importante ricordare anche i frammenti esiodei editi con Merkelbach e gli studi sul tragico Eschilo. Egli era riuscito ad andare a fondo nel laboratorio di scrittura di Omero, scrutando le diverse fasi di lavorazione dei poemi e individuando i motivi derivati da una certa tradizione ancestrale del Vicino Oriente. Si ricorda anche come intellettuale che ha vissuto la sua dimensione di studioso senza disperdersi in eccessive apparizioni pubbliche, riservate forse più a un’ultima parte della sua vita, che lo aveva visto protagonista nell’Università di Urbino, ma anche a Parma e a Bologna invitato da Gabriele Burzacchini nel 2011. Le sue lezioni sono un patrimonio da raccogliere, proprio come questa che vi proponiamo, pronunciata in italiano nel maggio 2011 e che Roberto Rossi (curatore di un sito sul greco antico) ci ha messo a disposizione. Il viaggio di Odisseo, viene qui studiato alla luce di altri viaggi di ritorno, ad esempio quello di Agamennone e viene definito “deviato”, in quanto il poeta aveva bisogno di far vagare Menelao, fratello di Agamennone che non era intervenuto per fermare l’assassinio, verso l’Oriente e farlo ritornare dopo la morte di Agamennone, quasi per giustificarlo; intanto bisognava mandare Odisseo verso Occidente, allungando il suo percorso da tre a dieci anni per farlo rimpatriare dopo Menelao. Probabilmente la storia d’amore fra Odisseo e Calipso non è stata altro che un espediente d’autore e un filologo questo disincanto deve scoprirlo e raccontarlo.
Dorella Cianci

Dicono che una donna avveduta farebbe bene a prendere in marito un archeologo, dal momento che più lei invecchia, più il consorte la troverà interessante. Sono più di cinquant’anni che convivo con due sorelle maggiori, di nome Iliade ed Odissea, e quel che posso dirvi è che in questo lasso di tempo il fascino da loro esercitato nei miei confronti e la mia curiosità nei loro continuano a crescere. E ciò che più d’ogni altra cosa m’affascina è la loro anatomia: il modo in cui le loro ossa si adattano le une alle altre, come la carne si sia sviluppata su di esse, che cosa sia osso e che cosa sia carne, e le eventuali cicatrici da chirurgia estetica che esse rechino. Fuor di metafora, avverto un coinvolgimento via via sempre maggiore nel problema relativo alle origini dei poemi omerici: il retroterra e la preistoria della tradizione epica greca, nonché le modalità attraverso le quali l’Iliade e l’Odissea furono plasmate dai rispettivi creatori a partire da materiali preesistenti. Si tratta, in entrambi i casi, di poemi assai estesi e complessi, e credo che i rispettivi poeti abbiano dovuto lavorarvi per molti anni prima di riuscire a condurli alla forma che noi conosciamo. Non è possibile che suddetti poeti abbiano concepito l’intera struttura del poema e la completa articolazione sequenziale degli episodi tutte in una volta sola, ma devono aver proceduto allo sviluppo di nuove idee nel corso del processo creativo, elaborando nuovi materiali da includere ed introducendo quelle modifiche che essi desiderarono apportare ai progetti originali.
Una simile concezione delle modalità compositive alla base dei poemi omerici diverge sensibilmente rispetto alla visione più largamente condivisa dalla critica delle ultime due generazioni. Sulla scorta della suddetta teoria tradizionale, i poeti dell’Iliade e dell’Odissea sarebbero stati poeti orali che avrebbero composto oralmente le proprie opere.[…] Ma non possiamo esimerci dal considerare indiscutibile il fatto che l’Iliade e l’Odissea sono, così come li possediamo, poemi scritti. Quale fu dunque la genesi di questi testi scritti? I Greci non potevano contare su registratori audio attraverso i quali catturare le performances orali, e in ogni caso questi due poemi sono assai più estesi di quanto una qualsivoglia esibizione orale avrebbe potuto essere. La risposta più comune a questo interrogativo si articola sul modello fornito da Parry e dal suo assistente, Lord: la registrazione attraverso dettatura di alcuni canti epici serbo-croati sembrerebbe indicare la possibilità che l’Iliade e l’Odissea fossero state dettate per un certo numero di giorni consecutivamente, e pertanto registrate, da poeti orali. Ora, si dia il caso che un poeta abbia potuto concepire un gigantesco poema epico di proporzioni simili a quelle dell’Iliade e dell’Odissea - un poema epico così esteso da poter essere eseguito oralmente solo per tappe nell’arco di un certo lasso di tempo - e ne abbia compiutamente ordito a mente struttura e sequenze episodiche: non sono in grado di negare che possa essere stato possibile, per quel poeta, dettare il poema lungo un lasso di tempo di tre o quattro settimane, iniziando dal principio e procedendo sino alla fine nel rispetto della concatenazione ordinata delle sequenze narrative. Ma, nella forma in cui li possediamo, i poemi non sono compatibili con un procedimento di elaborazione così semplice e diretto.
Ho pubblicato di recente un volume dal titolo The Making of the Iliad, nel quale ho tentato di dimostrare che l’Iliade non fu composta seguendo una concatenazione lineare che dal primo libro conduca sino al ventiquattresimo. Talune sezioni collocate ad un certo punto del poema furono composte prima di altre parti precedenti tali sezioni. Esistono davvero, come pensavano gli esponenti della critica analitica del diciannovesimo secolo, diversi strati compositivi: ma, mentre essi presumevano che ogni strato fosse il prodotto di un poeta via via diverso, io considero tali strati quali tappe susseguentisi delle elaborazioni di un solo poeta. Quello a cui penso non è un poeta che ad un certo punto decise di affidare la propria opera alla scrittura in un unico momento creativo, bensì un poeta che la realizzò nel corso di molti anni, dettandone porzioni in momenti diversi o, forse, mettendole per iscritto di sua propria mano, e che poi, con il trascorrere del tempo, corredò di aggiunte ed inserzioni parti dell’opera composte in precedenza. Il suo progetto originale doveva risultare ben più compatto di quanto non sia divenuta l’Iliade che noi possediamo e che è il frutto di espansioni dovute all’inserimento di sempre più numerosi episodi secondari, alcuni dei quali, forse, ricavati ed adattati da altri poemi presenti nel suo repertorio orale.
[…] Ora, permettetemi di proporvi un abbozzo del disegno che ritengo sia alla base della genesi dell’Odissea. Nel corso della seconda metà dell’ottavo secolo e all’inizio del settimo, l’epica ionica visse una straordinaria stagione di splendore quale mai in precedenza. Poeti orali, che si accompagnavano con lire a quattro corde, ricantavano le leggende della tradizione, in particolare quelle relative alla guerra di Troia. Fu un momento in cui gli scambi tra Greci e popolazioni vicine si intensificarono, con il risultato che nuove storie, racconti e motivi giunsero all’attenzione dei poeti. Potrebbe forse essere stato questo il momento in cui racconti popolari incentrati sul Ritorno del Marito e sull’inganno del Gigante Monocolo, che presentano paralleli soprattutto in Asia centrale, cominciarono a circolare in Grecia. Tuttavia, un poeta che avesse voluto farli propri e modularne lo stile in chiave epica avrebbe dovuto adattarli all’interno del contesto epico del mondo eroico; ciò significava che egli avrebbe dovuto reperire un eroe epico noto che assumesse il ruolo di protagonista in quei racconti. La scelta di Odisseo era quella di una figura che si prestava assai opportunamente a tale operazione, sia in virtù della sua consolidata fama di uomo dalle grandi risorse e abilità, sia perché, di tutti gli eroi che avevano combattuto a Troia, egli era colui il quale avrebbe dovuto coprire le maggiori distanze per fare ritorno in patria: tutto ciò rendeva particolarmente plausibile l’eventualità che l’eroe subisse ritardi o venisse costretto a deviazioni nel corso del suo viaggio. Il racconto del Gigante Monocolo non garantiva materiale sufficiente perché un’epopea fondata su di esso potesse essere ulteriormente estesa, ma risultava funzionale a un solo episodio che avrebbe ben potuto prestarsi a essere cantato singolarmente. D’altro canto, la storia del Ritorno del Marito implicava una più vasta cornice epica, in grado di abbracciare sia gli eventi che finivano per trattenere il marito lontano dalla patria, sia le movimentate vicende del suo ritorno. Una volta che tale racconto venne associato ad Odisseo, ecco che lì si formò una proto-Odissea. Il viaggio di Odisseo verso casa dovette a quel punto essere integrato grazie all’inserzione di un numero di avventure sufficiente a giustificare i contrattempi che, nell’arco di un certo periodo di anni, ne ritardarono il rimpatrio. Lì a disposizione, pronto all’impiego, v’era il racconto del Ciclope, che tuttavia non sarebbe stato in grado di per sé di render conto di un prolungato lasso di tempo, sì che molto di più dovette essere aggiunto.
Il poeta dell’Odissea, o uno tra quanti lo precedettero, escogitò pertanto un itinerario che conducesse Odisseo prima nel Mediterraneo orientale, per il Levante e l’Egitto, quindi verso ovest fin dalla figlia d’Atlante, presso l’Ombelico del Mare, dove l’eroe giunse in solitaria e privo di imbarcazione, per far infine ritorno ad Itaca passando dalla Scheria e dalla Tesprozia. Bufere e tempeste scoppiate in vari momenti lo allontanarono dalla rotta stabilita e frustrarono i suoi disegni. Soggiorni forzati, presso svariate località, estesero le sue peregrinazioni fino a coprire un arco di tre anni. Il poeta della nostra Odissea doveva essere assai ben informato circa gli altri racconti epici che circolavano sul conto di eroi provenienti da Troia e impegnati nel ritorno in patria, e in particolare doveva ben conoscere il racconto relativo ad Agamennone, alla sua uccisione da parte della moglie e alla sua vendetta per opera del figlio, tutti aspetti a cui il poeta fa ripetutamente riferimento. Egli dovette quindi rendersi conto del contrappunto che poteva istituirsi tra il racconto del ritorno di Odisseo e quello relativo ad Agamennone: Penelope, la moglie fedele, poteva infatti essere contrapposta alla fedifraga Clitemnestra, così come l’eroica impresa di Oreste in difesa degli interessi paterni poteva fungere da modello per Telemaco. E tuttavia, riflettendo sul racconto di Agamennone, il poeta fu colpito dal fatto che Menelao non vi comparisse. Trovarsi alle prese con tale problema lo indusse a trasferire su Menelao le avventure di Odisseo nel Mediterraneo orientale, privando così quest’ultimo della profezia di Proteo e rendendo il suo incontro con Eolo, il signore dei venti, fortuito anziché intenzionale. Ciò lo spinse inoltre ad aumentare l’estensione delle peregrinazioni di Odisseo da tre anni a dieci, facendo sostare l’eroe per sette anni presso Calipso.
Il nostro poeta rimase inoltre assai colpito da un racconto epico relativo al viaggio della nave Argo in regioni remote e leggendarie. In tale racconto egli trovò ulteriori episodi, che pensò di poter sfruttare per aumentare il numero delle peregrinazioni di Odisseo. Realizzò pertanto una sequenza di tali episodi e la inserì tra Eolo e Calipso, con il risultato, da un lato, di mandare a monte il proprio quadro geografico, ma riuscendo, dall’altro, ad ottenere una ricca messe di coloriti eventi. L’Ombelico del Mare di Calipso non sarebbe dunque più stato il punto estremo raggiunto dalle peregrinazioni di Odisseo, dal momento che l’eroe aveva addirittura attraversato il corso di Oceano per giungere alle case di Ade. E se lì l’eroe giunse, allora ebbe la possibilità di parlare alle anime dei morti e di interrogare Tiresia. Non c’era alcun bisogno, dunque, che Odisseo sostasse in Tesprozia, ragione per cui quella tappa fu scartata.
In questo modo la nostra Odissea conobbe la sua evoluzione, in un fermento di idee che di volta in volta si svilupparono e mutarono e nell’assimilazione di nuovi motivi da una pluralità di fonti. Non v’è pertanto di che meravigliarsi se essa ci colpisce con una ventata di freschezza ed inventiva, ma anche con la sensazione che non ogni parte sia stata adeguatamente incorporata e armonizzata, con la sensazione, cioè, che il prodotto che ci viene posto dinanzi agli occhi non sia del tutto perfetto né completamente finito, ma soltanto quasi perfetto e quasi finito. Eppure, non è forse questa imperfezione di gran lunga più affascinante di quanto non sarebbe stata una perfezione senza macchia, quel tipo di perfezione che nasconde gli sforzi affrontati dall’artista senza che ci venga fornito il ben che minimo indizio di quali siano stati i processi che produssero il risultato finale? Nella forma in cui l’opera ci si presenta, la sensazione che abbiamo è di riuscire a dare una sbirciata nel laboratorio del poeta e vedere così il dipanarsi di cose meravigliose.