Il Sole 30.8.15
La parata di Pechino «oscura» la crisi
Il governo vuole evitare turbolenze sui mercati durante le celebrazioni del 3 settembre
di Rita Fatiguso
PECHINO Non deve volare una mosca. Pechino si prepara a celebrare la fine delle ostilità legate all’ultimo conflitto mondiale mettendosi al riparo dalle turbolenze dell’economia che nelle ultime settimane l’hanno flagellata peggio di un uragano.
Nulla, infatti, dovrà turbare l’organizzazione della parata militare del 3 settembre alla quale la Cina lavora febbrilmente da più di un anno, con l’obiettivo dichiarato di celebrare i 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Tradotto nel linguaggio di Pechino, la motivazione dei festeggiamenti suona così: «Vittoria nella guerra contro il fascismo giapponese».
È ancora il Giappone che non si pente (e che, forse, non si pentirà mai) dei massacri perpetuati a danno dei cinesi, l'obiettivo ravvicinato di tanto sfoggio di forza muscolare.
Una sorta di celebrazione su misura collaudata nei minimi dettagli con una insistente chiamata a raccolta dei Paesi amici, durante la quale, in primis, non dovranno circolare i dati congiunturali dell'economia, (in grado di far danni anche più gravi delle dotazioni belliche che pure sfileranno) ai quali è stata messa, deliberatamente, la sordina.
Alla parata parteciperanno militari di dieci Paesi tra cui Russia e Khazakstan. Tra i capi di Stato la presidente sudcoreana Park Geun-hye che ha confermato la sua presenza. La conta di chi ci sarà e chi no è costante, la lista degli arrivi sempre aperta, essendo le variabili politiche in ballo non pienamente preventivabili e in progress.
Per una decina di giorni, di fatto, la Cina vivrà come sotto una bolla di vetro, in piena antitesi con la globalizzazione nella quale ormai è immersa, e a causa della quale è stata vittima nel primo ciclone finanziario made in China. Tutto ciò a dispetto della sua valuta non convertibile e delle borse stesse tutt’altro che aperte agli investimenti finanziari stranieri, ancora oggi costretti a sfidare le forche caudine delle quote autorizzate.
Non si è affatto spenta l’eco della guerra delle borse e delle valute aperta dal crack dei listini ai primi di luglio, il Paese è sempre sotto tiro della speculazione al ribasso, le borse hanno dovuto fronteggiare turbolenze mai viste innescate peraltro da un improvvido deprezzamento dello yuan. Fino allo scorso 27 agosto, quando lo Shanghai composite è tornato, finalmente, positivo.
Nel mezzo della tormenta la Banca centrale ha dovuto dissanguarsi, mettendo mano alle preziose riserve in valuta estera, tagliando tassi e ratios, per la prima volta la Cina ha costretto Wall Street a sospendere le contrattazioni. Una guerra che ha dimezzato il valore delle borse cinesi, bruciando miliardi di risparmi di famiglie e imprese, lasciando a secco le grandi banche.
Tutto questo va archiviato. C’è da mostrare al mondo, a sei anni dalle celebrazioni dei 60 anni dalla nascita della Repubblica popolare cinese, che la Cina procede imperterrita verso la meta di seconda e forse anche prima potenza economica, capace di dialogare a tu per tu con gli Stati Uniti che il presidente Xi Jinping si appresta a visitare a fine settembre (incluso l'atteso discorso alle Nazioni unite), in grado di chiamare a raccolta alleati non solo sul ricordo della fine della seconda guerra mondiale, ma anche degli odiati invasori giapponesi.
Le grandi manovre sono state effettuate già una settimana fa, con tanto di esercitazioni aeree all'alba, piazza Tian anmen è quasi del tutto transennata sotto gli occhi del ritratto del presidente Mao Zedong.
Larghe porzioni di Pechino sigillate dalle forze di sicurezza, dappertutto volontari, specie pensionati in maglietta azzurra, a controllare le strade, 850mila i militanti del Partito Comunista sguinzagliati. Sfileranno sulla piazza centrale di Pechino novità assolute come il missile a lunga gittata Vento dell'Est, in grado di trasportare numerose testate nucleari e di raggiungere gli Stati Uniti.
L'aeroporto internazionale di Pechino verrà chiuso per ore.
La capitale del Regno di Mezzo, nel nome della storia, è finita, da sola, sotto assedio.