sabato 29 agosto 2015

Il Sole 29.8.15
La doppia terapia per la Cina e l’Europa
di  Alberto Quadro Curzio


La crisi cinese sembra essere subentrata a quella euro-greca. Più in generale,l’economia mondiale non si è riassestata nel dopo crisi mentre si sta indebolendo anche la spinta (della globalizzazione) per uno sviluppo di lungo periodo. Consideriamo due fattori importanti di questo scenario e cioè liquidità-finanza e materie prime. Si tratta di due “opposti” perché il primo opera con estrema velocità creando spesso delle bolle mentre le materie prime, nella loro espressione fisica, entrano in processi di produzione-utilizzo improntati al lungo periodo. Al presente entrambi i fattori contribuiscono a squilibrare e rallentare la crescita mentre non si diffondono politiche economiche per riorientare la geo-economia. Preoccupano in particolare Cina ed Europa di cui tratteremo, mentre gli Usa stanno crescendo bene.
Liquidità e finanza. Molti (tra cui Krugman che interpretiamo liberamente) segnalano che nel mondo vi è un eccesso globale di risparmio da cui sono partite varie bolle speculative alla ricerca di profitti finanziari invece che andare verso investimenti produttivi. Il credito facile e la liquidità, per fare alcuni esempi, hanno gonfiato prima la bolla immobiliare Usa e poi ne hanno creata un’altra in Spagna, mentre in alcuni Paesi emergenti si sono avuti rialzi abnormi nelle valute. Adesso la grande liquidità pare ritornata prevalentemente negli Usa rialzando (pur nelle volatilità) il dollaro e le quotazioni di Borsa.
Molte sono state e sono le cause delle “bolle” in varie combinazioni temporali: scarsezza nella domanda di investimenti, austerità frenante spesa pubblica e consumi, bassa inflazione, bassi tassi di interesse. In sintesi, per noi la globalizzazione Ict-finanza ha spiazzato troppo gli investimenti produttivi perché questi danno profitti più nel medio-lungo termine che si allungano ulteriormente per quelli infrastrutturali (materiali ed immateriali). La finanza necessita invece di profitti veloci che spesso comportano forti oscillazioni.
Ma anche gli investimenti produttivi necessitano di finanza che verrebbe meglio incanalata se lo sviluppo di lungo termine fosse ancorato a programmi infrastrutturali nuovi e di rinnovi ecocompatibili (ma anche a quelli in tecno-scienza, istruzione e salute). Su “binari” di questo tipo , in partenariati pubblico-privato, si potrebbero attrarre maggiori capitali finanziari che sostengano anche strategie di impresa con rendimenti più attraenti e durevoli.
Materie prime. Anche tra queste ci sono state in passato varie bolle speculative delle quali non ci interessiamo qui. Rileviamo invece (come ha evidenziato l’Economist) che è in corso una divaricazione di medio-lungo periodo tra l’indice dei prezzi delle azioni (Msci world) e quello dei prezzi delle materie prime (indice Bloomberg ). Fatto 100 il livello dei due indici all’aprile del 1991, da allora quello dei prezzi delle azioni ha avuto tre andamenti di ascesa-declino sovrastando sempre (salvo un breve periodo di eguaglianza) quello dei prezzi delle materie prime. Quest’ultimo, dopo un consistente periodo di crescita (sia pure con oscillazioni) che l’ha spinto a un massimo nel 2007 (indice salito di 2,5 volte), ha iniziato un declino che l’ha riportato al livello del 1991. Cioè a 100 mentre l’indice azionario è 3,50 volte superiore a quello del 1991. Altri indici sulle materie prime danno profili diversi (anche per le componenti valutarie) ma l’aggregato segnala un calo.
Una spiegazione (prescindendo dal livello del dollaro) della dinamica dei prezzi delle materie prime fa perno sulla potente domanda cinese (su cui Marco Fortis ha da anni evidenziato vari record mondiali) durante la travolgente crescita dei decenni passati. Questa ha innescato un aumento di produzione di materie prime dovunque. Un complesso circuito di sovra-produzione, di calo dei costi di produzione dovuti all’innovazione, di concorrenza al ribasso sui prezzi per espellere nuovi concorrenti (è il caso petrolio saudita contro shale Usa), che ha anche inciso al ribasso ma non in modo omogeneo sui costi di produzione di altre materie prime energivore, ha danneggiato molti Paesi produttori anche per il deprezzamento delle loro valute rispetto al dollaro. La domanda aggregata è quindi calata un po’ dovunque anche per la crisi 2008-2014.
Cina ed Europa . Il rallentamento cinese, dopo decenni travolgenti, cambia adesso lo scenario globale. La Cina (che a parità di poteri d’acquisto è la maggiore economia mondiale) ha in corso una complessa transizione che secondo l’Fmi deve “normalizzarla” sia rallentando la sua crescita tra il 6% e il 7% annuo sia con riforme. È necessaria la distinzione nella complementarietà tra istituzioni (centrali e locali) e mercati , tra imprese di Stato e private, tra mercati emersi e mercati sommersi (dov’è grande quello del credito). E infine il renmimbi dovrà arrivare alla piena convertibilità di mercato. L’Fmi preme inoltre per il controllare subito le bolle in atto (quelle immobiliari in particolare) e in potenza.
In definitiva l’Fmi ritiene che lo statalismo di mercato cinese con crescite annue tra il 10% e il 15% non sia più sostenibile. Che questa transizione sia molto ardua è chiaro sia per le notizie politico-partitiche cinesi sia per gli eventi dei giorni scorsi. L a caduta della Borsa cinese (peraltro non peggiore di quella di fine 2007-08), l’improvvisa svalutazione dirigistica del renmimbi dapprima e la riduzione dei tassi di interesse poi, l’immissione di liquidità, hanno dato l’impressione che il rallentamento dell’economia cinese sia ben maggiore di quello programmato dal governo e previsto dall’Fmi.
È un rischio grave per la già fragile economia mondiale. La Cina non può però fare tutto da sola anche se un sistema con risparmi e investimenti tra il 45% e il 50% del Pil deve far crescere rapidamente la domanda interna (beni e servizi) di consumo e non solo per evitare bolle speculative. In questo contesto globale , l’Eurozona e la Ue, la cui crescita fatica a superare il 2%, sono chiamate ancora una volta alle loro responsabilità. Vanno attuate politiche economiche espansive, rilanciata l’occupazione (specie quella giovanile) e quindi la domanda interna, intensificati investimenti infrastrutturali pubblici e in partenariato che trascinino quelli industriali privati. Perché il mercato unico e l’euro non bastano per fare della Ue uno dei motori affidabili dello sviluppo mondiale.