venerdì 28 agosto 2015

Il Sole 28.8.15
Cina
L’urbanizzazione, principio e fine del boom cinese
Le ragioni della frenata. L’esodo dalla campagna alla città ha favorito una crescita a due cifre, ma ora il processo appare in esaurimento
di Rita Fatiguso


Le tempeste finanziarie finiscono per nascondere i veri motivi per cui la Cina non riesce a mantenere un ragionevole ritmo di crescita. Al contrario, la decisione di Pechino di congelare i dati sui fondamentali dell’economia fino alla chiusura delle celebrazioni per i 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale indica che quelle cifre rischiano di svelare realtà scomode.
La Cina deve riuscire ad affrontare una serie di nodi irrisolti, tra questi il crescente costo del lavoro peraltro non controbilanciato da altrettanti livelli di qualità e produttività, la difficoltà di far decollare i consumi interni o di creare un sistema di welfare degno di questo nome nonché di garantire l’innovazione nelle competenze e nella formazione.
Un altro problema ruota intorno al più grande movimento migratorio della storia recente, causa ma, forse, anche limite dello sviluppo cinese: l’urbanizzazione di milioni di contadini in primis verso le città della costa orientale, in seguito anche nell’area centrale della Cina.
La crescita legata all’urbanizzazione è ancora oggi scolpita nelle dichiarazioni che contano per la programmazione economica cinese, il premier Li Keqiang ha dedicato al tema importanti paragrafi del discorso programmatico delle due sessioni del Parlamento cinese, lo scorso 5 marzo.
A fine gennaio di ogni anno, poi, l’Istituto nazionale di statistica convoca una conferenza stampa molto attesa in cui il direttore dell’Istituto snocciola i dati e tra quelli più attesi c’è il livello di crescita del reddito, specie quello dei migranti rurali. E si capisce: ogni lieve cambiamento è fonte di preoccupazione o soddisfazione perché, come dimostra il grafico in pagina, il divario tra le due fasce della popolazione è di per sé fonte di grattacapi per la dirigenza cinese.
Ma lo è ancora di più l’andamento del reddito dei migranti inurbati, gli autori del miracolo cinese, che vivono spesso ai margini delle grandi città senza poter godere degli stessi diritti delle città nelle quali si sono trasferiti.
È in atto uno strisciante controesodo dalle campagne, legato tra l’altro alla traballante riforma dell’hukou, l’odiato permesso di residenza che ancora oggi segna il destino in terra di un cinese. Oggettivamente chi resta nelle campagne ha più terra e la terra magari è meglio lavorata, elementi che di fatto azzerano il vantaggio competitivo tra chi parte e chi resta. Chi si è inurbato ha contribuito indirettamente a far lievitare i costi del lavoro e del real estate, le città possono diventare trappole infernali. Chi è rimasto a casa in qualche modo finisce per godere di un livello di vita migliore di un tempo senza sottoporsi allo stress delle megalopoli.
Se i migranti rurali hanno fatto crescere la Cina a due cifre, oggi rischiano di non partire più o di tornare a casa. Cosa possa nascere da questo controesodo o dal mancato esodo è soprattutto una mancanza di manodopera nelle grandi città, una stagnazione dei consumi, un declino dei costi delle abitazioni stesse.
«Paradossalmente chi è partito rischia di trovarsi in fondo alla catena del valore, ma tornare indietro, anche a causa dell’hukou, non si può». Michele Geraci , economista, studia il fenomeno da anni, sul campo, dal suo osservatorio di direttore del China Economic Policy Programme alla Business School dell’Universita?di Nottingham a Ningbo. «Credo che il processo di urbanizzazione possa continuare ancora per qualche anno – puntualizza -, dopodiché questo driver di crescita economica potrebbe incepparsi. A quel punto, la Cina dovra? trovare dei motori di crescita alternativi, anzi avrebbe dovuto attuarli gia? da tempo, ma cosi non e? stato, purtroppo».