sabato 29 agosto 2015

il manifesto 29.8.15
Europa. Rifondarla con i migranti
La decisione di Merkel: io prendo i siriani, voi occupatevi di tutti gli altri
E se non cambiano le regole, ci devono pensare Grecia e Italia
Se è così è la prospettiva più disgregante per l’Unione
di Guido Viale


In coincidenza con le più recenti stragi di profughi di sicuro non le ultime la decisione di Angela Merkel di sospendere unilateralmente la convenzione di Dublino sui richiedenti asilo e di accogliere in Germania tutti i profughi siriani senza rispedirli nel paese del loro ingresso nell’Unione europea (Grecia, Italia e Ungheria) rappresenta un punto di svolta nel modo di rapportarsi al problema; insieme a molte ambiguità.
Innanzitutto è una decisione unilaterale con la quale Angela Merkel ribadisce chi comanda in Europa, senza bisogno di accordi con Commissione, Consiglio o Parlamento europeo; gli altri Stati membri, se vogliono, possono adeguarsi.
Poi Merkel ha fatto la sua scelta: accoglierà senza respingerli solo i profughi siriani. Certo oggi sono i più esposti a una delle tante guerre in corso; i più numerosi tra le nazionalità che cercano rifugio in Europa; ma presentano anche meno problemi di inserimento: hanno già molti parenti o conoscenze in Germania; quelli che hanno affrontato il viaggio per lo più appartengono a ceti professionali, sono istruiti ed erano abbastanza abbienti da potersi permettere spese di viaggio elevate. Ma sorge immediatamente un problema: quanti è disposta ad accoglierne?
Oltre a quelli che hanno già raggiunto l’Europa, i profughi siriani distribuiti tra Turchia, Libano, Iraq, Giordania ed Egitto sono oltre quattro milioni e altri sei milioni sono sfollati all’interno della Siria. Avere libero accesso in Germania potrebbe mettere in moto gran parte di coloro che finora non hanno avuto mezzi, informazioni o conoscenze sufficienti per decidersi ad affrontare il viaggio. Ma prima o poi proveranno a farlo. La Germania li accoglierà tutti?
Terzo: e gli altri? Quelli di altre nazionalità e altri paesi in guerra? Afghani, eritrei, somali, sudanesi del nord e del sud, yemeniti, tanto per cominciare. Poi, quelli che vengono dalla guerra, ma non sono originari di quei paesi, come i due milioni di lavoratori stranieri sorpresi in Libia dalla guerra contro Gheddafi. E poi, ancora, quelli provenienti da paesi non in guerra, ma esposti in ugual misura alle minacce di bande di ogni genere, come i nigeriani che fuggono da Boko Haram e gli abitanti di diversi altri paesi dell’Africa subsahariana. Sono tutte persone che per condizione sociale, istruzione, abitudini e, non ultimo, colore della pelle, presentano problemi di inserimento nei contesti sociali europei molto maggiori. Il fatto che la Germania apra le porte ai profughi siriani vuol dire che le chiude a tutti gli altri, di cui d’ora in poi dovranno farsi carico gli altri Stati dell’Unione? Magari spartendoseli per nazionalità, come ha fatto la Merkel? Gli afghani in un paese, gli eritrei in un altro, i nigeriani in un altro ancora?
Poi ci sono i profughi cosiddetti ambientali ed economici: quelli che non hanno diritto all’accoglienza e vanno rimpatriati, anche se spesso provengono da prove, nei loro paesi di origine e durante il loro viaggio, altrettanto dure di quelle affrontate dai profughi siriani. Nell’annunciare la sua decisione la Merkel ha fatto capire che lei la sua parte l’ha fatta. Il resto tocca agli altri. Quel "resto" è, tra l’altro, l’approntamento dei cosiddetti hot spot per identificare e selezionare i nuovi arrivati e gestire il respingimento di chi non ha diritto all’asilo in base ai requisiti indicati dalla convenzione di Dublino, che la Germania ora non applica, ma neanche contesta.
A esser chiamate in causa sono sostanzialmente Italia e Grecia (ma la Grecia è stata esentata dal trattenere i richiedenti asilo, anche se identificati, per le devastanti condizioni economiche a cui l’hanno ridotta i tre memoranda cucinati dall’Europa). In altre parole, ad ora – cioè con la sospensione unilaterale di Dublino 3 – la decisione della Merkel suona così: io mi prendo i siriani, voi occupatevi di tutti gli altri. E se non cambiano le regole, ad accoglierli o a respingerli ci devono pensare Grecia e Italia, eventualmente sovvenzionate con qualche fondo europeo aggiuntivo. Se così è, prospettiva più disgregante per l’Unione non potrebbe esserci.
Tutto rimanda ai criteri da adottare per svolgere un’operazione impossibile: distinguere i "profughi" dai "migranti economici" in base alla classificazione in "sicuri" e "insicuri" dei paesi di provenienza. E’ il succo della proposta contenuta in un articolo del Presidente della Commissione Jean Claude Junker pubblicato da alcuni giornali europei : nella prima parte del testo, che ha riscosso molto successo, si deplorano i muri che l’Europa sta costruendo ovunque, la negazione della sua ispirazione originaria. Ma ai muri di mattoni, reti metalliche e filo spinato Junker vuole sostituire una barriera di pratiche burocratiche finalizzate al respingimento di chiunque provenga da un paese "sicuro". Ma chi decide se un paese è sicuro? Bruxelles o chi sta cercando di scapparne? Può essere sicuro un paese dove si muore di fame e di sete, anche a causa dei cambiamenti climatici e del saccheggio delle multinazionali? O dove vigono lo schiavismo, infibulazione, lapidazione o discriminazioni etniche? E le persone che cercano in Europa un rifugio da queste situazioni sono forse meno bisognose di chi fugge da un guerra? A parziale riduzione dei dubbi suscitati dall’annuncio di Angela Merkel, un articolo di Sigmar Gabriel, vice-cancelliere, e Walter Steinmaier, ministro degli esteri della Germania (due figure poco affidabili: sono stati tra i più accesi persecutori della Grecia di Tsipras nel corso del recente negoziato) lascia intendere, per lo meno in termini generali, che il problema profughi è per forza di cose diventato centrale per l’Europa. L’articolo enuncia dieci punti di un "Codice comune" su immigrazione e asilo
politico:
1. Occorre garantire ai profughi «condizioni dignitose» di accoglienza con gli stessi standard in tutta l’Unione; 2. Lo status di asilo per i rifugiati deve essere valido in tutta l’Ue; 3. E’ necessaria un’equa distribuzione dei rifugiati tra tutti i paesi dell’Europa – con quote proporzionali alle loro capacità senza scaricarne il peso solo su alcuni di essi; in particolare su quelli di arrivo; 4. Occorre una gestione comune delle frontiere, soprattutto per quanto riguarda la registrazione dei rifugiati; 5. Occorre fornire aiuti ai paesi oggi maggiormente sotto pressione, come Grecia e Italia; 6. Il Mediterraneo non deve rimanere un cimitero di rifugiati; 7. Nel «lungo periodo» (???) occorre che coloro che hanno diritto all’asilo facciano ritorno nei loro paesi, che devono predisporre la loro riammissione; gli aiuti tecnici e finanziari a loro destinati devono essere subordinati a questa condizione. 8. Vanno distinti gli stati sicuri da quelli insicuri; 9. La Germania ha bisogno di una legge sull’immigrazione distinta da quella che regolamenta l’asilo; 10. La stabilizzazione dei paesi «in declino» e il contenimento di guerre e violenze devono andare di pari passo con gli sforzi per promuovere lo sviluppo economico nei paesi di origine dei profughi. «Questo – scrivono è il principale ambito politico in cui promuovere il progetto dell’integrazione europea».
Che cosa manca? Niente (le parole sono condivisibili) e tutto: il come realizzarle. Nell’immediato, manca la proposta di creare subito dei corridoi umanitari per evitare i pericoli del viaggio (o si devono accogliere solo quelli che ce l’hanno fatta?). Poi manca l’indicazione dei mezzi per accogliere milioni di profughi (di ogni genere): per non creare risentimento nella popolazione autoctona, occorre garantire reddito e lavoro a tutti quelli che ne sono privi: cioè, fine dell’austerity, reddito garantito e piani generali del lavoro per tutti. Infine manca il nesso fondamentale – tutto ancora da definire tra politiche di accoglienza adeguate alla dimensione epocale del fenomeno e costruzione di una politica estera dell’Europa ispirata al disarmo e alla pace e rivolta alle aree e degli Stati da cui provengono i profughi.