il manifesto 25.8.15
«Il nodo è politico: o Xi Jinping accelera sulle riforme o il Partito sarà dei conservatori»
Intervista con Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano
di Simone Pieranni
Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, è un grande conoscitore della Cina e dei cinesi. Noci conferma una sensazione che serpeggia negli ambienti che analizzano i processi e l’evoluzione del mondo cinese: a Pechino c’è un problema, ed è politico, tra una parte della dirigenza che spinge per le riforme e una parte che ancora privilegia la crescita quantitativa, a scapito della qualità. Il nodo è politico, ed è su quello che si gioca il futuro della Cina.
Partiamo dall’inizio, questa ennesima caduta di Shanghai e il panico che si è diffuso. Perché?
È ormai in corso una presa di consapevolezza che sconfina nel panico da parte della comunità internazionale circa la capacità del governo cinese di saper gestire la nuova via della crescita, che non è più tumultuosa come eravamo abituati. Va detto che la leadership cinese ce l’ha messa tutta in questa fase per innescare percezioni di panico nella comunità internazionale e nella società. Hanno spacciato la svalutazione dello yuan per andare incontro al tema della liberalizzazione della moneta ma alla fine di ogni giornata, sostenevano la valuta sennò cadeva troppo.
Oltre a quello hanno proseguito con interventi sui fondi pensione, permettendo la possibilità di investire in azioni. Per carità non si tratta di decisioni scandalose, tutt’altro, molti paesi l’hanno già fatto, ma sembra esserci una minore lucidità del «grande timoniere» che non riesce a sganciare la nuova visione post denghiana. La mia tesi è questa: hanno iniziato la liberalizzazione, quella più conveniente, ma hanno trascurato quella meno conveniente, quella più difficile, trovandosi oggi come oggi con le forze del mercato più forti delle loro capacità di governo dell’economia.
C’è dunque una resistenza all’interno del partito alle riforme che vorrebbe Xi Jinping?
La liberalizzazione gli ha tolto il controllo di governo e non sono stati capaci di reggere il ritmo giusto per le riforme necessarie. Parliamo di alcune necessità importanti: l’efficiente allocazione di capitali, la riforma delle aziende di stato. Il mercato oggi si chiede: ci troviamo di fronte a meno capacità di governo, avranno la capacità di ritrovare la linea?
E chi può trovarla?
Io dico: «Cercasi Xi Jinping disperatamente», perché se avesse fatto quanto dichiarato quando è arrivato al potere, oggi non avrebbero questi problemi. Il problema quindi, è politico. Prendiamo la campagna anticorruzione: dobbiamo sperare davvero che sia in realtà l’obiettivo del primo quinquennio per azzerare le spinte conservatrici e portare le riforme che voleva fare e sono necessarie, perché se non sarà così si tornerà a una Cina conservatrice che porterà dritti a una crisi che può essere pesante per tutti.
Xi Jinping dal suo punto di vista, può farcela?
Sono ancora ottimista e sono dell’idea che la lotta alla corruzione celi una volontà di compattare il partito per attuare il disegno. Non credo Xi sia il neo maoista che in molti dipingono, e lo stesso Pcc del resto non ha più la possibilità di gestire un fenomeno del genere. Il passaggio ad ora non riesce perché le incrostazioni enormi nelle aziende di stato e nelle province erano tali da generare gruppi di interesse che sono riusciti a fermare anche lui che ha in mano tutto. Dobbiamo sperare in Xi nella versione riformatrice, altrimenti la Cina fa un passo indietro e fa sbattere il mondo contro un muro.
Sui numeri della crescita cinese, quanto sono affidabili?
Non sono dell’idea che siamo sul 7% come le cifre ufficiali evocano o invocano, guardando i dati dell’energia e dei trasporti credo si possa essere su un numero minore, ma sai meglio di me che il problema non è certo quello. Il problema è duplice: da un lato politico e dall’altro economico. Non è se l’economia cresce il 5 o il 7, il problema è se la leadership conservatrice che va contro Xi è una leadership che ancora privilegia la quantità invece che la qualità, quindi che vuole proseguire con il patto denghiano: crescete e lasciate fare a noi.