sabato 29 agosto 2015

il Fatto 29.8.15
Assunzioni, il flop degli incentivi è nei numeri
Il governo studia una via d’uscita. Zero occupati in più e buona parte è andata a chi avrebbe assunto comunque
di Carlo Di Foggia


Il 15 novembre scorso, tre mesi prima che Matteo Renzi lo nominasse alla guida dell’Inps, Tito Boeri mise a verbale: “Il principio delle tutele crescenti rischia di incrociarsi con la grandissima decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato prevista dalla legge di Stabilita, a seguito del decreto Poletti (quello che da aprile 2014 ha reso più facile il ricorso ai contratti a tempo determinato, ndr). Il rischio sottolineava Boeri è che si crei una “contraddizione con l'idea di evitare discontinuità. Sono incongruenze che vanno affrontate”. Come? “Prevedendo una più ripida crescita delle tutele o una decontribuzione meno forte”.
Né l’una né l’altra cosa è avvenuta. E il 16 marzo Boeri festeggiò le “76 mila imprese” che avevano richiesto la decontribuzione a febbraio.
Da settimane, i tecnici del ministero dell’Economia studiano possibili vie d’uscita a una misura gli incentivi per chi assume quest’anno con contratti stabili (fino 8.060 euro l’anno, per tre anni) che si sta rivelando un boomerang per le casse dello Stato (Come rivelato ieri dal Fatto, si rischia un ammanco da almeno 2 miliardi), e non riesce a smuovere l’occupazione. La questione è nota anche a Palazzo Chigi, dove gli stessi consulenti che hanno redatto i decreti attuativi del Jobs act sono contrari a rinnovarli.
IL MOTIVO è semplice: nonostante le risorse stanziate – 11,7 miliardi – non stanno funzionando. Stando ai dati Inps, a giugno scorso i lavoratori assunti con la decontribuzione erano 674.874. Secondo l’Istat, nello stesso mese l’occupazione era ferma ai livelli di giugno 2014 (ma con 80 mila disoccupati in più). “Su questo punto – spiega Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi dei consulenti del lavoro – gli incentivi non hanno funzionato e il rischio è che stiano andando a imprese che avrebbero assunto comunque. Da soli, senza una vera ripresa, non hanno effetto sul numero di occupati”. C’è poi un altro aspetto che dovrebbe preoccupare: “Sembra che questa norma non stia contribuendo a far emergere il lavoro nero”, che secondo la Fondazione riguarda 2,1 milioni di persone. E questo, “nonostante una parte sia finita a imprenditori che l’hanno sfruttata per regolarizzare i lavoratori”.
L’UNICO aspetto positivo riguarda le stabilizzazioni di contratti a tempo determinato: 170 mila a giugno, secondo l’Inps. E a fine anno potrebbero arrivare a mezzo milione. Secondo il ministero del Lavoro, però, a luglio le stabilizzazioni erano 210 mila (in media 30 mila al mese). Se il trend venisse confermato, non si andrebbe oltre i 360 mila. Peraltro, per De Luca, l’effetto trasformazione dei contratti a termine tenderà a diminuire, perché “una fetta corposa è composta da stagionali puri, e quindi non è convertibile”.
Le buone notizie finiscono qui. Analizzando i dati del dicastero guidato da Giuliano Poletti, infatti, emerge che a maggio i nuovi contratti stabili, al netto delle cessazioni, erano solo 217. A giugno sono
calati (mentre sono esplosi quelli precari di oltre 180 mila contratti) e a luglio il saldo netto si è fermato a 47. “Per noi conta che ogni mese ci sia un aumento dei contratti a tempo indeterminato”, ha spiegato Poletti. Ma da aprile questo non avviene più, e da maggio ce ne sono 9 mila in meno.
“Quel che è certo – spiegano fonti del Tesoro – è che il premier non può permettersi di non prorogarli del tutto. Serve una soluzione che non sembri una totale retromarcia”.