venerdì 21 agosto 2015

Corriere La Lettura 9.8.15
Non esistono buone o cattive madri
Bontà e cattiveria sono in tutte noi
di Teresa Ciabatti


Cecilia, Tamara, la donna della morfologica, la mamma di Elia, la donna che allatta, la donna del corso preparto, la mamma di Tito, la mamma di Daniele, la mamma di Anna. L’inizio di tutte le cose di Ilaria Bernardini (Indiana editore) è una raccolta di nove racconti, nove donne. In realtà un’unica donna con nomi diversi, figli e situazioni sentimentali differenti (marito fedele, marito ingombro, partner occasionale). Unica donna incinta, unica donna che partorisce, che si ritrova un neonato tra le braccia — che fare ora? Unica madre che sbaglia, sogna, fantastica, eccede, fugge, resta. L’autrice rende storia le fantasie/paure/ossessioni della maternità. Senza pudore, in questo la forza del libro e della sguardo della Bernardini.
E dunque è successo davvero che io sentissi il cuoricino di mio figlio smettere di battere, che spiegassi al ginecologo che il bambino era morto, è morto, e poco importava che lui dicesse: è vivo. È successo davvero che alla fine dell’allattamento mi sia sentita inutile, e abbia cercato una soluzione, finanche tentare di sedurre mio figlio nuda nel letto perché prendesse di nuovo il latte, si nutrisse ancora da me, solo da me. È successo davvero che dopo una notte senza dormire, i dentini che spuntano, io gli abbia avvicinato un coltello alla guancia, e abbia esitato, per poi abbracciarlo stretto stretto, e pensare: amore mio.
Sempre lei, la stessa donna. La stessa madre. Errore ed esattezza, forza e sfinimento. Racconto dopo racconto, sotto nomi diversi come fantasmi di un’unica persona: così si rompono le acque tre volte, partorisci due. Quattro volte tuo figlio esiste da pochi giorni. Quattro volte non sai come farlo smettere di piangere, come liberartene, come non farlo staccare mai da te, perché sarebbe bello. Nel medesimo istante sarebbe bello che rimanesse per sempre neonato attaccato al seno, e che fosse già adolescente autonomo. Desideri contraddittori, pulsioni opposte, fantasie. Non esiste buona o cattiva madre. Buono e cattivo sono nella stessa madre.
E intanto la scrittura che accelera e rallenta pare dare un’indicazione sulla distanza dal reale: più la storia è prossima alla realtà, più ogni cosa si ferma, diventa dettaglio, fino al parto della mamma di Elia, forse quello dell’autrice, contrazione per contrazione, dolore, nascita. «La pancia era vuota e tu eri il peso preciso dell’amore». Dov’ero finita, dove sono finita? Si domanda la donna. E anche qui la risposta arriva dalla scrittura, la dissolvenza madre figlio, sovrapposizione esatta. La mamma di Elia ed Elia.
La conquista di normalità potrebbe essere l’ultimo racconto della raccolta. Invece no, è solo metà. Poi riprende l’ansia, la paura, fino alla fuga, desiderata o reale che sia. Perché l’autrice non ci mostra dove è arrivata lei, non è il racconto della sua vittoria. Non è la storia liberatoria di come si è rischiato di cadere, e non si è cadute. Tutt’altro. È il bilico perenne tra gioia e ansia, pace e angoscia, amore e risentimento. E qui, in queste possibilità — della mente o no — c’è l’assenza di giudizio: attraverso la prima persona, l’autrice comprende tutte, ci assolve, ci salva.
Ilaria Bernardini è una delle migliori scrittrici italiane. Insieme a Gaja Lombardi Cenciarelli (che, fossi un editore, metterei sotto contratto almeno per tre libri. Ultimo romanzo: ROMA , tutto in maiuscolo come sulle vecchie targhe, edizione 20090), rappresenta la novità letteraria di una scrittura femminile — nel senso di attenzione a certi dettagli, di capacità di rivelazione, e di consapevolezza — due voci molto diverse, eppure ugualmente potenti, subito distinguibili. Così rappresentative di quello che ci è successo in questi anni, di quello che è cambiato, di quanto oggi siamo disposte a dire di noi. Le scrittrici, più degli scrittori, riescono a raccontarsi attraverso un io narrante non ideale. Non siamo donne felici, né realizzate, né desiderate. Non siamo buone, ma neanche cattive. Non siamo coraggiose, forse solo a tratti. Non siamo più giovani, abbiamo perso la speranza, non del tutto però, qualche illusione ancora rimane.
E dunque nel grado di svelamento del femminile — inverso alle regole di seduzione: mantieni il mistero, fatti desiderare, non raccontare tutto di te — sta la novità letteraria. La nostra piccola rivoluzione. Riformulare attraverso la scrittura il concetto di seduzione.