Corriere La Lettura 30.8.15
Bravi, gli ambiversi (bella trovata)
Uno studio esalta le doti di chi è un po’ introverso e un po’ estroverso
Ma bastava rileggersi Aristotele: conta l’intelligenza emotiva
Negli Stati Uniti la grande attenzione riservata alle personalità moderate tradisce un discutibile approccio alla psicologia
di Giancarlo Dimaggio
Direttamente dalle pagine del «Wall Street Journal»: hanno scoperto gli ambiversi! Chi pensa a una nuova forma di sessualità o di specie di pesce abissale non ancora classificata sbaglia. Si tratta di persone comuni che più comuni non si può. Qual è la loro nicchia ecologica? Lontano dagli opposti polari di introversione ed estroversione. Ambiversi, appunto, a volte socievoli e chiacchieroni, altre portati alla passeggiata con il cane e all’uso intensivo del telecomando. Una via di mezzo tra il collega musone e silenzioso e la vicina d’ombrellone che più volte avete fantasticato di sopprimere.
Adam Grant, University of Pennsylvania Wharton School, ci ha fatto su una ricerca, pubblicata su «Psychological Science». Ha scoperto che gli impiegati di un call center classificati come ambiversi vendevano di più degli introversi e, destando un certo scalpore in chi aveva fiducia in loro, degli estroversi. Grant si rifà all’Aristotele dell’ Etica nicomachea : «Lodevole è la disposizione di mezzo».
La descrizione di questo nuovo tipo di personalità svelato dalla scienza più o meno suona così: è socialmente flessibile, sta bene sia da solo che con gli altri; ha abilità comunicative, sa ascoltare e parlare. È di atteggiamento moderato — Aristotele ne sarebbe felice — non è né troppo aperto né troppo riservato. È adattabile e cambia approccio a seconda della situazione. Certo, messa così è il tipo di persona che vorreste sposare, avere vicino in spiaggia. Assumere! Finalmente la soluzione alla crisi economica di Grecia e Sud Italia: assumete più ambiversi e il Pil si impenna.
I soliti menagramo obietteranno: negli Stati Uniti ce ne sono di più, da noi ve n’è carenza. Ma no, fidatevi, lo dice Grant stesso: sono i due terzi della popolazione, parola di accademico americano. Certo, verrebbe da chiedergli: guardi, dovrei assumere cinque impiegati, con il suo metodo ne ho selezionati sessanta, mi dà informazioni un filino più precise? Confesso, la mente degli americani continua a restarmi misteriosa. Da un lato sono capaci di introspezione e finezze inarrivabili. Penso alla complessità dei personaggi di True Detective , Dr. House , Trono di Spade ; penso a Paul Auster. Dall’altro non hanno ancora dimenticato John Wayne: monoliticamente buono, di stucchevole unidimensionalità.
Molti psicologi americani, ahimè, avranno visto troppi film di John Ford e l’uomo descritto da Pirandello, Calvino, Pessoa, Borges, appare loro incomprensibile. Sono gli psicologi dei tratti di personalità, che caratterizzano gli umani a seconda di quanto siano coscienziosi, gradevoli, aperti, nevrotici e, appunto, estroversi.
In un accesso di profondità, osservano che l’ambiverso può avere difficoltà nel decidere quale lato della personalità mostrare. Insomma, vendono di più, si adattano meglio ma gli tocca pensare.
Gli psicologi che trovano la psicologia dei tratti imbarazzante sono tanti. Quello che interessa è sapere cosa porta la persona a comportarsi diversamente al mutare dei contesti. Cosa passava nella mente di Eduardo De Filippo per portarlo a dire: «Sulla scena so esattamente come muovermi. Nella vita sono uno sfollato». Perché Peter Parker, il nerd per eccellenza, occhialuto, timido, imbranato ha la battuta sempre pronta quando indossa la maschera di Spider-Man? Il protagonista di American Sniper : sul campo di battaglia è sicuro di sé, spiritoso, energico, incoraggia tutti, un eroe. Tornato a casa ha una moglie deliziosa, due figli e neanche una parola da dire. L’altra faccia di John Wayne. Un disadattato. Che gli succede nei due diversi contesti?
A qualcuno passerebbe in mente di accomunare Eduardo, Spider-Man e Chris Kyle nella categoria «ambiverso»? Allora, perché l’articolo del «Wall Street Journal» suscita interesse? Perché comunque gli psicologi ci vedono lungo: ci servono strumenti per prevedere il comportamento delle persone. Si tratta solo di usare gli arnesi giusti. La domanda è: quali processi e capacità psicologiche portano a compiere decisioni migliori sul lavoro, nella vita sentimentale?
Tra i tanti, mi viene subito da pensare all’intelligenza emotiva: la capacità di leggere le emozioni degli altri, ragionarci su e usare questa conoscenza per risolvere le difficoltà relazionali. Chi ne è dotato è più soddisfatto, ha più successo a scuola e nel lavoro. Adolescenti con maggiore intelligenza emotiva sono meno soli e soffrono meno delle conseguenze drammatiche della solitudine.
Uno studio di Celeste Wilderom, olandese, con colleghi sudcoreani e cinesi evidenzia come l’intelligenza emozionale dei manager sia legata alla coesione all’interno del negozio che si traduce in vendite migliori.
In sintesi, il problema non è essere introversi, estroversi o ambiversi. Se vogliamo scegliere meglio chi ci guida e chi esegue i compiti dobbiamo guardare altrove, scrutarne le capacità di capire le emozioni degli altri e di utilizzare tale conoscenza nel prendere decisioni. La flessibilità dei cosiddetti ambiversi può dipendere da vari fattori, inclusa una più raffinata capacità di agire dopo avere osservato la mente di chi li circonda. Se siamo buoni lettori di emozioni intuiamo quando è il momento per una battuta spiritosa e quando è meglio andare a guardare la puntata di Trono di Spade che abbiamo saggiamente registrato in anticipo.