venerdì 21 agosto 2015

Corriere La Lettura 26.7.15
«Annales» una storia più bassa e più lunga
di Marco Meriggi

L’articolo di Giovanni Brizzi su «la Lettura» #190 del 19 luglio, a proposito del recente revival dell’ histoire batailles, offre l’occasione di puntualizzare che cosa abbia significato il ripudio polemico di questo modo di accostarsi alla storia da parte della generazione di studiosi che, a partire dai tardi anni Venti del Novecento, si raccolsero in Francia attorno alla rivista «Les Annales».
Essi andavano alla ricerca, come scrisse nel 1941 Marc Bloch, che assieme a Lucien Febvre fu padre fondatore di quella straordinaria avventura intellettuale, di una «storia più ampia e più umana» di quella sin lì generalmente praticata dalla storiografia scientifica di matrice ottocentesca.
Quest’ultima aveva largamente privilegiato la storia politica e quella militare ( histoire événementielle e histoire batailles ), affidando volentieri le proprie strategie narrative al racconto delle vicende che vedevano coinvolte le grandi personalità. Per gli storici delle «Annales», così come per quelli che anche in altri Paesi ne condivisero allora l’insoddisfazione nei confronti della storiografia tradizionale (per esempio i tedeschi Karl Lamprecht e Otto Hintze, o l’austriaco Otto Brunner), al racconto della «punta dell’iceberg» andava invece affiancata l’esplorazione della sua grande massa continentale, in tutta la varietà delle sue forme di espressione: sociali, economiche, istituzionali. La storia dei vertici del potere doveva venire, perciò, integrata con quella della società nel suo complesso, investigando, al tempo stesso, il rapporto intrattenuto da questa con l’ambiente naturale. E per far questo servivano prospettive idonee a lumeggiare le strutture della vita collettiva a misura del passo lento — tanto lento da sembrare talvolta immobile — che le caratterizza, lungo uno scenario temporale meno sincopato di quello scandito dal susseguirsi degli eventi più vistosi.
Di qui la messa a punto di una modalità di analisi sensibile alla «lunga durata» (espressione resa celebre da Fernand Braudel) dell’avventura umana, e la proposta di arricchire lo strumentario concettuale della pratica storiografica con quello di discipline come, per esempio, la geografia, la sociologia, l’antropologia, la psicologia.
La storia — hanno obiettato taluni — è però essenzialmente il racconto dei cambiamenti attraverso gli eventi, piuttosto che l’indugio sulle lunghe persistenze. Ma altri hanno replicato che gli eventi significano poco, se non si conosce a fondo il contesto strutturale al cui interno essi si collocano. La battaglia storiografica resta aperta.