venerdì 21 agosto 2015

Corriere 23.7.15
La sovranità sta tornando in voga
Ma il realismo non è solo hegeliano
Un saggio di Biagio De Giovanni rilancia un concetto antico
di Angelo Panebianco


Un ammirevole tour de force intellettuale, forse uno dei testi più rigorosi di questi anni su un concetto-chiave della politica moderna, la sovranità. Una riflessione, però, che è ancorata alla vicenda dell’ Europa continentale (l’Inghilterra è fuori dal quadro), o meglio delle grandi potenze (Germania, Francia) che l’hanno plasmata. Se dovessi consigliare agli studenti una doppia lettura, filosofica e storica, sulla statualità europeo-continentale, suggerirei di appaiare questo Elogio della sovranità politica (Editoriale Scientifica) di Biagio de Giovanni a un vecchio libro (1948), Equilibrio o egemonia , capolavoro dello storico tedesco Ludwig Dehio, dedicato alle gare di potenza fra gli Stati europei.
Il lavoro di de Giovanni è un altro tassello della riflessione sui fondamenti della politica moderna che l’autore conduce da molto tempo. Oltre alla sua competenza filosofico-politica, ha giocato un ruolo in questo studio anche una esperienza pratica, quella di parlamentare europeo, che gli ha consentito per anni di osservare dall’interno l’Unione nel suo difficile tentativo di trascendere la statualità europea, di fare i conti con l’ingombrante questione della sovranità.
Come ogni opera filosofica di rilievo, il libro di de Giovanni ha espliciti bersagli polemici: bersagli «alti» (il decisionismo schmittiano, il normativismo kelseniano) e bersagli più contingenti e «politici», in particolare quel fondamentalismo dei diritti umani (una sottomarca, possiamo dire, del liberalismo giuridico, a sua volta, solo una variante del liberalismo) che è oggi discorso egemone in Europa e contro il quale de Giovanni scrive pagine efficaci.
Il pensiero di Hegel è il principale ancoraggio teorico dell’autore. È in Hegel, per de Giovanni, che raggiunge il suo punto più alto un’elaborazione teorica iniziata con Bodin e alla quale Hobbes aveva dato, prima di Hegel, un più solido fondamento filosofico.
Con Hegel (dopo Hobbes, ma passando per Rousseau) la sovranità diventa esplicitamente ciò che anche la dottrina costituzionale più avvertita sarà costretta a riconoscere: mediazione, un compromesso fra politica e diritto su cui viene eretta la statualità, e che sorregge il sistema moderno delle libertà. Servendosi di Hegel, de Giovanni può contrastare la concezione schmittiana, così popolare, della sovranità («sovrano è colui che decide sullo stato d’eccezione»). Può ancorare la sovranità alla normalità e alla continuità della vita statale, anziché all’eccezione e alla decisione arbitraria di fronte all’eccezione.
Ma non è solo la formula schmittiana che de Giovanni contrasta. È anche il normativismo kelseniano. Esso soffre del difetto opposto a quello della concezione di Schmitt. Solo la sintesi fra diritto e politica, la sovranità come mediazione, consente di sfuggire alle due op-poste sirene.
Con l’avvento della democrazia, con la sovranità del popolo, non cambia l’essenza della sovranità. Volerla cancellare significa, oggi come ieri, voler cancellare la politica, detronizzarla a favore di utopie che il realismo ispirato a Hegel di de Giovanni non può accettare. È questo il tentativo odierno del «liberalismo dei diritti umani», il quale vuole assorbire la politica nel diritto, sostituire alla decisione politica la giurisprudenza delle Corti.
In età democratica, il bersaglio del liberalismo dei diritti umani diventa quella prerogativa del popolo che è il potere costituente. Se infatti il fondamento non negoziabile della costituzione sono i diritti umani, ne consegue che il «potere costituente» non ha ragion d’essere: non il popolo ma le Corti sono titolate a decidere sulla Costituzione. E, attraverso la Costituzione, sono autorizzate a guidare «decisori politici» che non sono più tali, perché sottomessi al giudizio di chi ha il compito di vegliare sui diritti umani. Appoggiandosi soprattutto al filosofo e giurista Ernst-Wolfang Böckenförde e alla sua difesa del potere costituente, de Giovanni smonta le tesi dei fondamentalisti dei diritti umani, recupera le ragioni della politica, sostiene che solo in tal modo si possono coniugare sovranità e democrazia.
Non si può non simpatizzare con il realismo politico di de Giovanni. Ma va anche ricordato che l’avventura filosofica che egli ricostruisce è solo una parte della storia. L’adesione al realismo politico, ad esempio, non obbliga necessariamente a sottoscrivere la concezione hegeliana dello Stato e della società intesi come totalità. Max Weber, ad esempio, ha mostrato come realismo e interpretazione individualista della politica e dello Stato possano convivere.
Quella di de Giovanni, inoltre, come già si è detto, è una ricostruzione concettuale ancorata a una vicenda statale solo europeo-continentale. Se entra in gioco la Gran Bretagna (per non parlare degli Stati Uniti) il quadro cambia e le categorie per leggere la politica cambiano di conserva. La connessione, che secondo de Giovanni è inscindibile, fra sovranità e politica appare storicamente condizionata e circoscritta alle vicende di alcuni Stati europeo-continentali. Da ultimo, notiamo che il principale bersaglio polemico dell’autore, il liberalismo dei diritti umani, non va assimilato al liberalismo tout court , ne è solo una variante, la più debole e discutibile. Ciò detto, onore al merito. È un piacere raro leggere libri di questa qualità.