venerdì 21 agosto 2015

Corriere La Lettura 26.7.15
Primum philosophari deinde vivere
La disobbedienza secondo Thoreau
Torna Walden, il capolavoro del pensatore pacifista americano che ha influenzato Gandhi e Patti Smith. Ma anche Unabomber
di Leonardo Caffo


«Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita… e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto». Con questa frase Henry David Thoreau, filosofo e scrittore trascendentalista americano, è diventato simbolo della «esistenza wilderness», ovvero la vita selvaggia. Questa frase viene dal suo capolavoro, Walden ovvero Vita nei boschi , recentemente ripubblicato in italiano da Einaudi con una bellissima prefazione di Paolo Cognetti.
Walden è un libro/diario che racconta dei due anni (esattamente la leggenda vuole che siano due anni, due mesi e due giorni) che Thoreau passò nei boschi del Massachusetts: correvano gli anni 1845-1847 e i trascendentalisti, corpi umani un po’ filosofi e un po’ hippy ante litteram , vedevano nella Natura un assoluto positivo a cui fare ritorno. Manifesto dell’ecologia, dell’anarchia e della filosofia della natura, Walden diventa un classico molti anni dopo la morte di Thoreau, che in vita, passando da un lavoro a l’altro (giardiniere, imprenditore, maestro elementare), era addirittura costretto a pagare per pubblicare i suoi stessi libri. Ma classico di cosa? E perché, come mostra la recente pubblicazione in lingua italiana della biografia Henry David Thoreau (Castelvecchi) di Henry S. Salt, l’interesse per questo filosofo si fa sempre più imponente? Walden è studiato nei dipartimenti di letteratura, mentre a filosofia, guarda caso, è un grande assente: perché?
La risposta, apparentemente banale, apre in realtà una complessa riflessione sul valore pratico della filosofia: Walden non è «solo» un libro, o un trattato filosofico, è una bussola per le azioni volte a un cambio radicale di rotta dell’umanità. All’epoca di Thoreau, nel New England, erano in molti a fare scelte simili alle sue: capanna nel bosco, vita bucolica e diario di bordo. Allora perché Thoreau?
Tutti conoscono il detto filosofico di Aristotele primum vivere deinde philosophari . Ecco, nel suo contrario, si cela la risposta. Secondo Thoreau è la filosofia che è base della vita e dunque ogni scelta va orientata secondo degli ideali precisi. Nota la vicenda secondo cui Thoreau si rifiutò di pagare le tasse del suo quartiere a Concord quando, lette le implicazioni secondarie delle bollette, scoprì che avrebbe finanziato la guerra in Messico: il pacifismo, così coerente, gli costò la galera (ma la zia, come altre volte, andò a pagargli la cauzione contro la sua volontà). Il motivo per cui Thoreau ha influenzato personaggi tra loro diversissimi, da Mahatma Gandhi a Patti Smith, da Theodore Kaczynski (il famoso Unabomber), passando per Louisa May Alcott, fino a Christopher McCandless (il protagonista di Into the Wild ), risiede nella sua capacità di rendere la propria vita manifesto delle sue teorie.
Ludwig Wittgenstein, nel suo Tractatus logico-philosophicus , sosteneva che i limiti del nostro mondo sono dati dai limiti del nostro linguaggio: sostituite le azioni al linguaggio e avrete Thoreau. Il nostro mondo è ciò che costruiamo: agire, potendo beneficiare degli obiettivi per cui abbiamo agito, è l’essenza della vita umana (e in questo, se pensiamo anche alle ricerche contemporanee di Robert Lanza, Thoreau è stato un anticipatore del biocentrismo). In questo solco, dove Thoreau diviene il filosofo che invita ad agire seguendo i dettami dell’autonomismo morale kantiano portato alle estreme conseguenze, si innestano i germi della disobbedienza civile e del «no» come risposta alle imposizioni esterne. Il non agire, ovvero la negazione nel senso della formula dello scrivano Bartleby «I would prefer not to», diventa essenza della possibilità di cambiare.
Certo, Thoreau è anche altro: è l’ambientalista delle passeggiate nei boschi del Maine, lo scrittore raffinato delle Tinte autunnali o il fine analista del diritto americano della Apologia per John Brown . Ma Walden resta la pietra miliare, perché è specchio di una vita filosofica rara: l’esistenza di un uomo che abbandona questo mondo a 45 anni, nel 1862, dichiarando alla zia (sempre la stessa che gli pagava le cauzioni) di aver avuto una vita piena e serena, in pace con se stesso.
La targa su uno dei pali rocciosi che indica il sito della capanna di Thoreau, sulle rive del lago di Walden, non troppo lontana dal The Thoreau Institute at Walden Woods, lascia i visitatori senza fiato: il freddo pungente del Massachusetts, il cielo terso, il silenzio del bosco, sono l’esatto contrario dei luoghi in cui si sviluppa la filosofia contemporanea. Proprio il bosco, come spazio di resistenza, diventa luogo entro cui l’umano resta solo con le proprie azioni: lo spazio in cui, attraverso Thoreau, è possibile esistere davvero.
Ma riscoprire Thoreau non è semplicemente leggerne le opere: il passaggio da autore a filosofo avviene nella misura in cui si comprende che la sua vita è un monito per la nostra. Proprie nelle prime pagine di Walden Thoreau afferma che «le qualità migliori della natura umana, come i fiori in boccio, si possono conservare solo avendone massima cura. Eppure noi non trattiamo né noi stessi né gli altri con tanta tenerezza»: abbiate cura di voi stessi e degli altri. Sembrerà strano a molti, ma proprio questa è la filosofia.