venerdì 21 agosto 2015

Corriere La Lettura 2.8.15
Alla ricerca della porta dell’Oriente
Una missione avviata nel 2010 in Turchia dagli atenei di Pavia e New York
Qui nel I millennio a.C. sorgeva una grande città circondata da mura, snodo tra Est e Ovest
di Massimiliano Chiavarone


Era uno degli snodi più importanti del mondo nel I millennio a. C., un antico regno che portava a Est, verso la Siria. Si chiamava Tuwana e aveva svolto un ruolo primario nella Cappadocia, assorbendo l’eredità dell’impero ittita. Un regno ricco ma dimenticato, misterioso e vitalissimo, passaggio fondamentale per le vie di comunicazione tra l’Anatolia centrosettentrionale e l’Asia sudoccidentale, meta di spedizioni militari e scambi commerciali. Per tutta l’antichità questa regione è stata crocevia di traffici e ponte di collegamento tra Oriente e Occidente. Un gruppo di studiosi (e di ragazzi) l’ha riscoperta.
È stata la missione italo-statunitense delle Università di Pavia e New York a far emergere Tuwana dal sottosuolo. Una campagna archeologica che potrebbe davvero ricostruire il ruolo dell’Anatolia e in particolare della Cappadocia nell’età preclassica, quando era già amalgama di popolazioni e culture, multilingue e anticipatrice delle civiltà successive. Le prime indagini, nel 2010, con analisi geomagnetiche e georadar, hanno permesso di individuare una struttura di pietra di forma ellittica, con una cinta muraria. Nel 2011 sono seguiti gli scavi a Kinik Höyük, che significa collinetta di Kinik, dove Kinik indica non solo la città che vi sorgeva, ma anche la tribù turcofona che entrò in Anatolia in età ottomana. La città — importante dal XV al I secolo a.C., cioè dal Tardo Bronzo fino all’età ellenistica — fece parte dell’Impero ittita. Dopo la caduta dell’impero, attorno al 1200 a. C. (quasi coeva alla guerra di Troia) con ogni probabilità continuò a fiorire.
Questa parte della Cappadocia era chiamata dagli Assiri, che insieme ai Frigi furono le potenze dominatrici dopo la fine degli Ittiti, Tabal: la parte meridionale corrispondeva al regno di Tuwana in cui si trovava Kinik. «È possibile che i centri di questa regione avessero stabilito tra loro scambi e accordi. Siamo però ancora abbastanza all’oscuro sulle altre entità urbane vicine a Kınık», spiega l’ittitologa Clelia Mora, coordinatrice della missione per conto dell’Ateneo di Pavia. Le altre città neoittite erano in Cilicia, nell’alta valle dell’Eufrate e nella Siria del Nord. Ma Tuwana assunse proprio il ruolo di Stato cuscinetto tra le due potenze successive agli Ittiti.
In particolare la regione in cui si trova il sito di Kinik (esteso forse per 81 ettari) ebbe un ruolo notevole dal punto di vista strategico (dista circa 334 chilometri da Ankara e 443 da Aleppo) perché si trovava vicino alle Porte della Cilicia, cioè l’unico varco per attraversare l’imponente catena del Tauro. Il suo suolo, inoltre, era ricco di materie prime, metalli e minerali. Le scoperte fatte finora testimoniano l’esistenza di una società piuttosto evoluta e dotata di buoni mezzi di sussistenza, come indicano la qualità delle ceramiche, i resti di edifici tra cui un palazzetto, ma soprattutto l’imponente cerchia delle mura.
Si tratta di un’opera monumentale ben conservata, dallo spessore di 4 metri e che raggiunge in alcuni tratti un’altezza di 13 metri, di cui almeno 5 riportati alla luce. L’eccezionalità della scoperta è che si è di fronte a un sito di cui finora non si avevano notizie né da fonti storiche, né archeologiche. «Le mura — precisano Clelia Mora e l’archeologo Lorenzo D’Alfonso, che rappresenta in loco l’Università di New York — risalgono alla metà del II millennio e durarono almeno fino all’età persiana, vale a dire per almeno mille anni. Questa continuità in un periodo di cambiamenti repentini, come la caduta dell’Impero ittita, le migrazioni e la formazione di nuovi poteri regionali, differenzia la storia di questo sito da quella di altre aree chiave dell’Anatolia centrale, come Hattusa-Bogazköy e Yassi Höyük-Gordion perché è un chiaro indizio di continuità culturale e amministrativa tra la fine del II e il I millennio a.C. che permise alla cultura ittita di essere trasmessa al mondo classico». Magia e misteri compresi. Tra i primi a diffondere l’uso del cavallo nell’antico Oriente, impiegandolo anche in battaglia. Un popolo che faceva uso di due scritture: quella cuneiforme, già adottata da altre civiltà vicine, e il cosiddetto «geroglifico anatolico» che avevano inventato loro.
Ma ora la sfida degli scavi a Kinik diventa più impegnativa. Perché lo scopo degli studiosi è cercare la porta d’ingresso delle mura. «L’importanza di tale scoperta — sottolineano — è che la porta sarebbe scavata dopo quasi tremila anni, seguendo una metodologia archeologica aggiornata che permetterebbe di capire il suo ruolo in relazione alle mura della città, evitando una pura musealizzazione, come accadeva in scavi più antichi. Si potrebbero così studiare e valorizzare al meglio la funzione della porta e le attività che si svolgevano all’interno».
Il geomagnete ha indicato due strutture imponenti riconducibili alla porta, una a nord, l’altra a sud, punto dove si è scavato quest’anno. I lavori hanno portato alla luce una torre. Per il prossimo anno si punta a Nord. Gli scavi si concentrano anche nel far riemergere i livelli della città dell’epoca neoittita e ittita. In quel periodo Kinik forse si chiamava Tupaziya. Comunque è abbastanza chiaro che dopo la fine del regno Ittita si fecero avanti alcuni regni indipendenti che tennero testa a potenti del calibro di Assiri e Frigi.
Kinik, nonostante gli eterni rovesci della storia che le imposero periodiche distruzioni, fu ricostruita di continuo almeno fino al XII secolo d. C. Una città che è sempre risorta dalle sue ceneri. E questa volta sarebbe l’ultima.