Corriere 26.8.15
Un principe in democrazia. L’Atene di Pericle senza miti
Potere personale e capacità di legittimarsi furono le armi principali di un leader paragonabile ad Augusto per la sua abilità
Ma fu anche bersaglio di critiche spietate
di Luciano Canfora
La fioritura urbanistica, architettonica, teatrale, oratoria, prodottasi in Atene in concomitanza con i decenni in cui Pericle fu dominante sulla scena politica (463-430 a.C.), ha determinato l’equazione — divenuta senso comune — grandezza di Atene/Atene di Pericle . È in realtà soltanto un punto di vista, e neanche inoppugnabile. Un altro punto di vista consolidato è che, sotto il suo governo, si sia realizzata la pienezza della democrazia, del «governo di popolo». Un terzo punto di vista — alquanto stridente rispetto al precedente — è che, morto lui, si sia instaurata la democrazia «radicale», che portò la città alla rovina. Nessuno di questi tre «pensieri consolidati» regge alla critica, ma è utile chiedersi come siano nati.
Pericle era nato tra il 500 e il 495 a.C. Era un nobile (eupatrida), apparteneva alla famiglia degli Alcmeonidi, potente e ambigua. Erano stati, gli Alcmeonidi, alleati di Pisistrato (il «capo popolare divenuto tiranno» come lo definisce Aristotele nella Costituzione di Atene ), poi avevano rotto quell’alleanza politico-familiare e avevano lottato, da esuli, contro la «tirannide». Con l’aiuto di Sparta e la complicità dell’oracolo delfico opportunamente corrotto, Clistene, leader della famiglia alcmeonide, era rientrato e aveva cacciato Ippia, figlio ed erede del «tiranno». Ippia si era rifugiato in Persia. Ma a Maratona neanche gli Alcmeonidi fecero una bella figura, anzi ammiccarono all’invasore (lo puntualizza Erodoto, pur «cliente» ormai di Pericle). Ciò non impedì a Pericle venticinquenne (nel 472 a.C.) di pagare le spese per l’allestimento dei Persiani di Eschilo, dramma sommamente patriottico.
Plutarco, il quale scriveva 5 secoli dopo ma con ottime fonti, all’inizio della Vita di Pericle (tutt’altro che ditirambica!) dà una notizia molto importante: Pericle da principio fu a lungo incerto se far politica appoggiandosi al popolo ovvero ai ricchi. Si favoleggiava di una sua somiglianza fisica con Pisistrato e questo lui temeva potesse nuocergli. Suo maestro di musica, ma in realtà di politica, fu il sofista Damone, che — dice Plutarco — molti pensavano lo «addestrasse alla tirannide». Del resto, quando era saldamente al potere e ogni anno riusciva a farsi rieleggere stratego (così evitando il rendiconto del proprio operato), i poeti comici gli gridavano, dalla scena: «Deponi la tirannide!»; e chiamavano «Pisistratidi» i suoi figli (Plutarco, Pericle , 16).
Mettendo insieme questi ed altri elementi, Plutarco approda alla diagnosi che il governo di Pericle fu «aristocratico». E porta a sostegno di ciò il giudizio che un grande storico e uomo politico più giovane di Pericle e suo ammiratore (quantunque appartenente ad un clan familiare avverso), Tucidide, aveva espresso nella sua Storia , come bilancio dell’opera di Pericle: «A parole fu una democrazia, di fatto il governo del princeps ( protos anèr )». E noi preferiamo tradurre col termine augusteo quelle parole («primo uomo») perché l’intento di Tucidide è di definire il potere pericleo come un ben saldo potere personale abilmente rivestito di legittimazione. Che è — su scala molto più grande — la escogitazione costituzionale attuata da Augusto, quando «restaura» la Repubblica, ma assicura a sé il continuativo e di fatto intoccabile ruolo di princeps . Perciò Cicerone, che sognava l’affermarsi di un princeps in re publica (e fu da Augusto nelle sue Memorie assunto come «profeta») definì Pericle « princeps nella sua città» ( De re publica ).
Come si vede, questo tipo di governo non ha molto a che fare con la democrazia: «democrazia solo a parole». E anche nell’orazione funebre per i morti nel primo anno di guerra, che Tucidide fa pronunciare a Pericle poche pagine prima, «democrazia» — come osservò Jacqueline De Romilly — è parola usata con molta circospezione.
Ma per il clan politico-familiare cui appartenevano Platone e suo zio Crizia, capo riconosciuto dell’oligarchia dei «Trenta», non solo le leggi di Clistene lasciavano molto a desiderare, ma proprio Pericle era stato, come già Temistocle un «corruttore del popolo», un demagogo (Platone, Gorgia ): con riferimento alla sua politica edilizia da «Stato sociale» (strumento formidabile di consenso) e più in generale di elargizioni di denaro pubblico. Senza dimenticare episodi gravi di corruzione, come il torbido affaire Fidia (Partenone, statua di Zeus coperta d’oro, ruberie di Fidia stesso sull’oro di proprietà pubblica etc.). E Aristotele, nella già ricordata Costituzione di Atene , mette Pericle tra i faziosi, non tra i politici sui quali il giudizio è concordemente positivo; anzi tra questi colloca il più accanito dei suoi avversari, il figlio di Melesia anche lui di nome Tucidide.
A questo punto anche il divario tra Pericle e «quelli che vennero dopo di lui» (che per Tucidide fu abissale) si accorcia. E rischia di scomparire del tutto se dalla vita pubblica si passa alle imprese militari. Pericle totalizzò quasi solo sconfitte, ivi compreso il disastroso intervento in favore dell’Egitto in rivolta contro la Persia; fu più capace suo nipote ed erede politico Alcibiade, con le strepitose vittorie sulla flotta spartana degli anni 411-409. Il divario tra i due molto si attenua poi sul piano della morale privata. Se di Alcibiade la «scostumatezza» fu proverbiale (rovinosa per la città secondo Tucidide) Pericle fu bollato dai comici come «il re dei satiri», capace di farsela — secondo il malevolo Stesimbroto di Taso — persino con la donna di suo figlio.
Stabile convivente sua fu Aspasia, che «allevava ed educava in casa sua giovani etère», secondo Aristofane e secondo Plutarco, che parla di una vera e propria «struttura» educativa ( ergasía ). Pericle fu costretto, per tale passione, ad umiliarsi dinanzi all’assemblea quando Aspasia fu bersagliata da una denunzia per «empietà», dopo essere stata bersaglio costante della scena comica. Anche in questo si coglie la distanza tra milieu pericleo, raffinatamente «tirannico» e intellettualmente progredito, e la bieca grettezza dell’«ateniese medio». Aspasia — osserva Plutarco, pio ma anche saggio — aveva conquistato Pericle «con la sua saggezza e acutezza anche politica». E Socrate la frequentava talvolta con i suoi discepoli, «i quali portavano ad ascoltarla persino le loro mogli».