mercoledì 26 agosto 2015

Corriere 26.8.15
L’Europa nella storia
Conflitti e legami tra popoli cugini. Imperi, rivoluzioni, il sogno unitario
di Sergio Romano


Ogni riflessione sull’identità europea corre il rischio di essere usata per fini politici. Chi parla di Europa cristiana, come accadde frequentemente durante la redazione del preambolo della Costituzione europea, nasconde spesso il desiderio di tracciare un invalicabile confine tra la cristianità e l’islam o tra la cristianità e la laicità. Chi parla di Europa giudaico-cristiana (una espressione coniata negli Stati Uniti verso la metà del Novecento) si propone probabilmente lo scopo opposto: quello di relativizzare il ruolo delle chiese cristiane nella storia del continente. Chi mette il Sacro Romano Impero in cima all’albero genealogico europeo vuole probabilmente respingere alla periferia della «vera» Europa i Paesi che non possono rivendicare quella ascendenza.
Sono definizioni sommarie che non rendono giustizia ad altri contributi. Dovremmo forse pensare che l’Andalusia e la Sicilia, per via della dominazione araba, siano state per alcuni secoli terre prigioniere di una potenza aliena? Forse è meglio abbandonare questi criteri e affrontare il problema da un altro angolo visuale.
Nell’ultima fase dell’Impero romano esistono tra le sue frontiere tre grandi gruppi nazionali: i latini, i celti e i germani. Tutti e tre hanno contribuito alla organizzazione e al rafforzamento dell’Impero nella fase della sua maggiore potenza; ma i celti e i germani hanno contribuito altresì a distruggerlo nella lunga fase del suo declino. Anche i celti e i germani, tuttavia, ne hanno subìto l’influenza, conservano una sorta di nostalgia per il grande «padre» scomparso e si comportano come se nel cuore del continente esistesse un trono vacante a cui anche i «barbari» possono aspirare. L’idea d’impero sopravvive alla propria morte e la sua memoria è responsabile di molti fra i conflitti che hanno sconvolto l’Europa da Carlo Magno a Carlo V, da Filippo II a Luigi XVI e Napoleone. (Tralascio in questo elenco Adolf Hitler perché non era né romano né cristiano).
Lo stesso può dirsi del cristianesimo. Dopo essere stato respinto e perseguitato, il cristianesimo è diventato la religione ufficiale dell’Impero. Il papa romano si fregia di un titolo imperiale, pontifex , e si attribuisce il diritto di conferire legittimità ai futuri imperatori. Le nuove comunità cristiane costruiscono i loro templi sui luoghi dove i romani adoravano le divinità imperiali. Il latino rimane per molti secoli la lingua della Chiesa cattolica e di tutti coloro a cui è assegnato il compito di trasmettere la cultura del passato. L’idea d’impero e l’autorità spirituale del pontefice sono i due maggior fattori unitari della storia d’Europa.
Ma ciò che unisce può anche dividere. La corsa al trono romano di alcune fra le grandi famiglie europee e i loro scontri sul campo di battaglia creano nuove organizzazioni statuali, nuovi ceti militari e amministrativi, disegnano i confini di nuove patrie. La guerra è sempre stata una straordinaria fabbrica di identità e sentimenti nazionali: unifica i vincitori nel ricordo del trionfo; unifica i perdenti nel ricordo dell’umiliazione subita, nella voglia di riscatto, nella rabbia verso i responsabili della sconfitta subita.
Le stesse considerazioni valgono per la Chiesa romana. Il messaggio monoteista del cristianesimo seduce i popoli e li autorizza a considerarsi membri di una grande famiglia universale. Ma i suoi missionari lo diffondono adattando il messaggio e le liturgie ai costumi dei popoli che vogliono convertire; e contribuiscono così alla nascita delle nazioni, spesso piccole patrie regionali delimitate da storie comuni, dalla lingua e da confini naturali. Più che di un cristianesimo europeo converrebbe parlare di una pluralità di cristianesimi che si sono spesso combattuti per affermare la propria «verità». La storia d’Europa è anche una storia di conflitti religiosi, di reciproche scomuniche, di Riforme e Controriforme, di sovrani, come Enrico VIII d’Inghilterra, che vogliono essere contemporaneamente re e papa.
Anche la tolleranza e la laicità sono il prodotto delle guerre di religione. Anziché separare i popoli e spingerli a percorrere strade opposte, le guerre per l’Impero e per la fede hanno l’effetto di rendere le nazioni europee permeabili alle reciproche esperienze.
La rivoluzione francese e l’epopea napoleonica creano nuove aspirazioni ideali, nuove ambizioni nazionali, nuovi modelli costituzionali. La rivoluzione industriale comincia in Inghilterra fra il XVIII e il XIX secolo, ma poi scende lungo i fiumi dell’Europa continentale, contagiando dapprima il Belgio, poi gli Stati tedeschi, la Svizzera, la Francia, l’Italia, la Spagna e, agli inizi del Novecento, anche la Russia. Il concetto moderno di nazione appare in Francia, Germania, Spagna, Italia agli inizi dell’Ottocento e si diffonde come un incendio nell’intero continente.
Nato dalla rivoluzione industriale e da quella urbanistica dopo il 1830, il socialismo segue lo stesso percorso. La Prima guerra mondiale crea le condizioni per la diffusione della ideologia comunista e di quella dei suoi nemici. La rivoluzione d’Ottobre a Pietrogrado, nel 1917, genera in seguito effimere «repubbliche dei consigli» a Berlino, Monaco di Baviera, Budapest, e suscita speranze rivoluzionarie a Vienna, nell’Italia del «biennio rosso», nella Spagna del 1936.
Anche il fascismo contagia l’Europa, conquista il potere in Italia e in Germania, crea imitatori più meno fedeli in Inghilterra, in Francia, nel Belgio, in Spagna e in Portogallo.
La Prima guerra mondiale crea un pacifismo europeo, ancora fortemente minoritario, che comincia a riflettere sul futuro del continente e sulla sua possibile unione. La Seconda guerra mondiale è percepita come una guerra civile e costringe i popoli europei a interrogarsi sulla crescente irrilevanza dei loro Stati e sull’utilità di un progetto comune.
Vengono quindi rilette le opere dei precursori dell’europeismo, dall’abate Castel de Saint-Pierre a Immanuel Kant, da Giuseppe Mazzini a Carlo Cattaneo. Appaiono nuovi «manifesti», come quello di Ventotene scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Cresce una coscienza europea e si afferma una nuova classe dirigente a cui appartengono Aristide Briand, il conte Coudenhove Kalergi, Luigi Einaudi, Jean Monnet, Konrad Adenauer, Alcide Gasperi, Robert Schuman.
È una storia nuova. Ma anche questa grande idea, come tutte quelle che l’hanno preceduta, dalla rivoluzione mercantile del Duecento alle vicende del secolo dei Lumi, è stata possibile perché gli europei sono uniti dalla comune convinzione che le esperienze e le intuizioni di un Paese siano utilizzabili negli altri. Così come i sovrani dei regni europei amavano considerarsi cugini, così anche i latini, i celti e i germani dei nostri giorni possono sentirsi legati da una sorta di rapporto di famiglia.
È questa la ragione per cui è impossibile definire l’identità europea. Il volto dell’Europa è quello che ha assunto via via nel corso della storia. L’identità europea è un cantiere aperto, dove si lavora continuamente per costruire e anche, purtroppo, per distruggere.