mercoledì 26 agosto 2015

Corriere 26.8.15
La strategia del premier: punto sul referendum
di Maria Teresa Meli


Matteo Renzi torna tra la gente, ed è un ritorno che assomiglia tanto a una campagna elettorale. I l presidente del Consiglio, tra l’altro, nega che lo scioglimento prematuro della legislatura sia all’orizzonte: «Non vedo le politiche anticipate, ma se vogliono sfidarmi io ci sono». Piuttosto, per il premier «l’obiettivo è il referendum costituzionale del 2016». È quella la strategia, è quella la legittimazione popolare che Renzi si prefigge. E allora è inevitabile che il ddl Boschi diventi dirimente, su quello Renzi non può mollare. Lo fa capire chiaro e tondo.
Rimini «Sono in modalità 40 per cento», dice ai collaboratori Matteo Renzi, prima di intraprendere il suo tour a Rimini, Pesaro e L’Aquila. Scherza, il premier, ricordando il risultato-boom delle Europee, ma solo fino a un certo punto. Il suo è un ritorno tra la gente — con la promessa di parlare in cento teatri di altrettante città italiane per spiegare quello che ha fatto il suo governo e quello che farà — che assomiglia tanto a una campagna elettorale.
Eppure il presidente del Consiglio nega che lo scioglimento prematuro della legislatura sia all’orizzonte: «Non vedo le politiche anticipate, ma se vogliono sfidarmi io ci sono». Piuttosto, per il premier «l’obiettivo è il referendum costituzionale del 2016». È quella la legittimazione popolare che si prefigge. E allora è inevitabile che il ddl Boschi diventi dirimente, su quello Renzi non può mollare. Lo fa capire chiaro e tondo, sferzando e sfidando la minoranza interna, sicuro com’è che alla fine dei 25-28 senatori dissidenti ne rimarranno poco più di una decina. Ma se così non fosse, se la riforma costituzionale subisse un altolà nell’aula di palazzo Madama, allora si aprirebbe un problema. Per tutti, non solo per il governo.
È una prova di forza, quella che il presidente-segretario sta facendo ed è convinto che alla fine la spunterà: «I numeri ci sono già adesso, ma se fosse necessario un accordo con qualcuno in più lo faremo». Non però per «farsi impiccare all’elettività dei senatori».
E per spianare la strada con la sua minoranza e, nel frattempo, per farle terra bruciata intorno, si butta a capofitto nelle regioni rosse. Nell’Emilia Romagna di Bersani, dove, non a caso già il tredici agosto aveva partecipato a sorpresa alla festa dell’Unità di Villalunga. Del resto il presidente di quella regione, Stefano Bonaccini, in predicato di tornare a fare il responsabile degli Enti locali, lo aveva annunciato, giorni fa: «Renzi girerà tutte le feste dell’Emilia». Sarà anche a quella di Bologna, che, però, farà chiudere a Bersani, per evitare polemiche e per dimostrare al suo popolo che non è lui che vuole il conflitto con la minoranza, bensì sono i suoi oppositori che tentano di «bloccare il governo in tutti i modi».
Non è un caso, dunque, se ieri, prima di andare al meeting di Cl, il premier abbia voluto incontrare proprio Bonaccini insieme al segretario del Pd dell’Emilia Romagna. Per lo stesso motivo la tappa successiva è stata un’altra «zona rossa», Pesaro, dove c’era con lui il sindaco Matteo Ricci, che, come Bonaccini è un ex bersaniano. Sono segnali inequivocabili per dimostrare che il Pd esiste e risponde al suo segretario.
Il quale segretario è aiutato in questa prova di forza interna al partito anche dal fatto che, come ha notato lui stesso con i suoi collaboratori, «alla nostra gente non piace l’atteggiamento della minoranza, non capiscono perché voglia fare la guerra al governo, non ne possono più di tutte queste liti».
Certo, Renzi si sta giocando tutto, anche perché, benché ostenti indifferenza per l’argomento, in mezzo ci sono pure le elezioni amministrative. E il premier sa che, suo malgrado, un eventuale cattivo risultato nelle grandi città chiamate al voto gli verrà inevitabilmente caricato sulle spalle.
La partita del premier si gioca dunque su un doppio spartito. Il Pd, e quindi anche le piazze («mi rituffo tra la gente», dice Renzi) e il Parlamento.
È quest’ultimo il terreno di gioco più difficile. Infatti, se nelle piazze oltre alle contestazioni ci sono anche gli applausi, alla Camera, e, soprattutto, al Senato, c’è invece una pattuglia organizzata e pronta a trasformare i palazzi della politica in un Vietnam. Ciononostante, il presidente del Consiglio resta ottimista, convinto com’è che Forza Italia abbia paura del voto e quindi alla fine non farà veramente le barricate sulla riforma: «In un anno ho portato a casa un sacco di cose, diciamo la verità, le ho vinte tutte».
E se al Senato dovesse esserci un incidente (che Renzi non si augura), allora il premier è pronto anche al voto, con il suo tour in cento teatri.