giovedì 9 luglio 2015

Repubblica 9.7.15
“Nell’Europa post-sovrana l’unica salvezza è il modello Usa”
Il filosofo americano Michael Walzer e gli scenari aperti dallo scontro Ue-Tsipras:
“Il centrosinistra esca dalla logica liberista della destra e rilanci il progetto di una federazione di Stati”
intervista di Giulio Azzolini


La Grecia sta soffrendo davvero tanto.Anche a causa dell’assenza di un governo unico che guidi l’Unione Syriza e Podemos sono movimenti populisti,per natura incapaci di costruire risorse e distribuirle

«Se l’Unione Europea fa tanta fatica a uscire dalla crisi greca, non è soltanto per errori contingenti, commessi da una parte e dall’altra. Guardando la vicenda dall’altra sponda dell’Atlantico, mi sembra che il caso greco sia particolarmente importante perché mette a nudo i due problemi maggiori dell’Europa attuale: la politica economica e la cornice istituzionale. È assurdo che l’Unione Europea continui a imporre al governo ellenico le stesse misure di austerità che hanno fallito ovunque, ma è altrettanto grave il fatto che oggi l’Unione Europea non disponga di organi di controllo in grado di bilanciare in modo democratico lo strapotere della Bce». Michael Walzer, tra i massimi filosofi politici contemporanei, professore emerito all’Institute for Advanced Study di Princeton, guarda il modo in cui la politica europea sta gestendo l’emergenza Grexit, e vi scorge i limiti strutturali del progetto comunitario.
Professor Walzer, in questi giorni concitati ha ancora fiducia nella Ue?
«Credo che l’Unione sia un progetto ambizioso, che poggia su grandi valori e può vantare quantomeno un successo straordinario: quello di aver trasformato in un’area di pace un continente devastato da secoli di guerre e conflitti fratricidi. Detto ciò, non si può negare che l’Unione Europea sia un regime a dir poco curioso, l’unico che ha centralizzato il potere economico in una struttura oligarchica fatta di banchieri e burocrati, senza centralizzare la politica, che in forma democratica resiste solamente all’interno dei singoli Stati nazionali. In altre parole, il caso Grexit sta facendo emergere una contraddizione immanente al sistema istituzionale europeo, quella tra l’oligarchia sovranazionale dei banchieri e le democrazie nazionali dei popoli. E io non vedo in che modo questa asimmetria possa reggere a lungo. Servirebbe piuttosto uno scatto verso un governo genuinamente politico sia dell’eurozona sia dell’Unione Europea. Eppure, sebbene sia necessario, oggi il passo in avanti sembra piuttosto improbabile, perché nessun Paese europeo sembra pronto a compierlo. La Grecia paga anche l’assenza di un solo governo europeo».
L’altro problema, invece, è la politica economica. Perché l’Europa non ha saputo trovare una ricetta alternativa alle politiche di austerità?
«È un fatto che non mi so spiegare. L’idea che le misure di austerità siano la risposta giusta alla recessione è una menzogna. Basterebbe leggere Paul Krugman o Joseph Stiglitz. Anche negli Stati Uniti abbiamo vissuto una fase in cui il governo repubblicano ha seguito questa strategia, ma per fortuna il governo Obama ha imboccato una strada diversa. I partiti socialisti europei dovrebbero fare una battaglia comune per cambiare la politica economica imposta dalla Troika in Grecia».
Invece appaiono sempre più schiacciati tra la destra e la sinistra radicale.
«È così. E il fallimento della socialdemocrazia non inizia oggi e riguarda ormai tutti i paesi occidentali. Negli ultimi anni tutti partiti di centrosinistra, a cominciare dal New Labour blairiano, sono stati subalterni al neoliberismo della destra. In qualche occasione hanno provato a imprimergli un “volto umano”, ma il dato di fondo è che non hanno saputo articolare una strategia alternativa. E il risultato è un fallimento catastrofico, che vede scomparire i partiti neokeynesiani e lasciare lo spazio a sinistra a frange populiste come Syriza in Grecia e Podemos in Spagna. Ma il populismo è uno stile politico, di destra o di sinistra, che per definizione è incapace di costruire una società che produca più risorse e le distribuisca in maniera equilibrata. Insomma, mi è molto difficile rimanere ottimista».
Dopo il referendum personaggi di spicco del centrosinistra europeo come Schulz e Gabriel hanno espresso posizioni più oltranziste della Merkel. Invece quale dovrebbe essere la visione istituzionale del fronte progressista?
«Non saprei fare un elenco delle specifiche riforme da adottare. Sono convinto però che una riforma dell’Unione Europea sia non solo necessaria, ma anche urgente. E penso inoltre che il riordino istituzionale debba andare nella direzione di una vera e propria federazione. Non sono abituato a spacciare gli Stati Uniti come un modello per il resto del mondo, ma in questo caso sì, l’assetto federalistico statunitense potrebbe essere molto utile per ripensare l’Europa. Anche a voi servirebbe un governo federale unico che controlli la moneta e la politica estera, pur concedendo larga autonomia agli Stati membri in materia sanitaria, educativa, sindacale».
Ma la prospettiva di una federazione di Stati non costringerebbe tutti i cittadini europei, e non solo i greci, a rinunciare alla loro sovranità?
«Basta dare un’occhiata a ciò che accade nel mondo per rendersi conto di quanto sia importante l’idea di sovranità. La maggior parte di chi oggi vive in condizioni di oppressione, in Africa o in Asia, soffre per l’assenza di uno Stato sovrano. Il primo grande bisogno del popolo siriano, per fare un esempio, è la costruzione uno Stato sovrano. Ma allo stesso tempo viviamo un’epoca post-sovrana. Un’epoca globale che sta riducendo il potere degli Stati, rendendo quelli piccoli simili a semplici province».
Come si colloca l’Unione europea in questo secondo scenario?
«La Ue ha rappresentato un grande esperimento per trascendere la sovranità statale, ma la crisi greca dimostra in modo definitivo che, da questo punto di vista, l’esperimento non ha funzionato. Non è più tollerabile che i vertici economici dell’Unione non rispondano democraticamente del proprio operato ai cittadini dei vari paesi. Ecco perché voi europei dovreste scongiurare il rischio Grexit e perseguire la strada di una federazione, ben sapendo che questa implica il sacrificio di determinate quote di sovranità. Un sacrificio che, però, che non potrà mai provocare la sofferenza che i greci stanno subendo in questi giorni».