Repubblica 6.7.15
Uno scontro di valori
di Andrea Bonanni
ADESSO che il popolo greco ha parlato, anzi ha urlato il suo “no” alle proposte dei creditori, l’errore più grave che potrebbero commettere gli europei sarebbe di lasciare che siano la Bce, il Fmi e gli automatismi insiti in un meccanismo di default a decidere le sorti di Atene costringendo il Paese a stampare un’altra moneta. Quello che ci arriva dal referendum è un messaggio altamente politico. Merita, anzi esige, una risposta altrettanto politica.
ALLA LUCE dei risultati del voto, tenere la Grecia nella moneta unica non sarà facile. Potrebbe, sotto molti punti di vista, perfino rivelarsi sbagliato. Ma la decisione ha tali e tante implicazioni sul futuro del progetto europeo, sul nostro futuro di cittadini, che non può essere lasciata nelle mani di tecnici, per quanto brillanti e visionari come Mario Draghi.
In un mondo perfetto, la risposta al referendum greco, la decisione se tenere o meno Atene nella moneta unica, dovrebbe essere affidata ad un referendum europeo, o quantomeno ad un giudizio del Parlamento europeo. Ma poiché la costruzione comunitaria è tutt’altro che perfetta, non sarà così. Le sorti dell’Europa saranno ancora una volta decise dal binomio franco-tedesco. Oggi Merkel vola a Parigi per incontrare Hollande. Saranno loro a concordare la linea, e ci sono pochi dubbi sul fatto che quella linea sarà poi seguita anche dagli altri governi e dalle istituzioni della Ue. A prima vista il fatto che il nostro futuro sia affidato al responso di questa diarchia può sembrare ingiusto. Ma la verità è che, come è sempre successo nella storia d’Europa, anche di fronte alla crisi greca Parigi e Berlino hanno assunto posizioni diametralmente opposte, facendosi portatori di valori diversi e in larga misura contraddittori dietro i quali si riassume tutto il ventaglio delle posizioni degli altri governi europei. E dunque, se e quando Francia e Germania troveranno un compromesso, la loro intesa finirà per essere accettata e condivisa anche dalle altre capitali e dalle istituzioni Ue.
Ma quali sono questi valori? Contrariamente a quanto sostengono i detrattori della moneta unica, il dibattito che in queste ore attraversa l’Europa non è una disputa ragionieristica, né un mero calcolo di interessi contabili. È vero che l’incubo di una nuova guerra degli spread innescata dalla prospettiva di un’uscita della Grecia dall’euro spaventa di certo più l’Italia o la Francia che la Germania o l’Olanda. Ma, dopo la crisi del 2010-2012 che è costata a Berlino centinaia di miliardi iniettati nel sistema europeo per fermarne l’infezione, si può star certi che neppure i Paesi “forti” oggi affrontano a cuor leggero il rischio di una nuova destabilizzazione della moneta unica ad opera dei mercati.
Nel dibattito tra Merkel e Hollande si scontrano in realtà due visioni e due filosofie della moneta unica che convivono, più o meno pacificamente, sin dalla sua nascita. Entambe hanno argomenti legittimi e persuasivi. La Francia, che in questi giorni si è battuta per riprendere comunque il dialogo con Atene e tenere la Grecia nell’euro anche in caso di vittoria dei “no”, privilegia il valore altamente simbolico della moneta unica, vista come pegno di una statualità in divenire. L’euro, dicono in sostanza i francesi, è qualcosa di molto di più di un sistema di cambi fissi che unisce le economie di vari Paesi. La moneta unica è il simbolo di una scelta di destino comune fatta dai popoli che l’hanno adottata. E questo simbolo va difeso ad ogni costo. Se si permettesse alla Grecia di uscirne, l’unione monetaria si ridurrebbe a un puro accordo di cambio soggetto agli attacchi speculativi dei mercati sulla base di una logica puramente economica. Perderebbe quel suo plusvalore politico di promessa di una “sempre crescente integrazione”. Ed il meccanismo perverso ad escludendum potrebbe non fermarsi ad Atene ma diventare una valanga inarrestabile, capace di divorare, uno dopo l’altro, tutti gli anelli deboli della costruzione monetaria.
Ragionamento ineccepibile. Al quale però i tedeschi ne contrappongono un altro egualmente solido. Proprio perché l’euro non è un semplice accordo di cambio, ma il pegno monetario ad un destino comune, dicono in sostanza Merkel e Schaeuble, occorre che sia fondato su valori sani e condivisi. E sulla fiducia reciproca che questi valori, come gli impegni assunti al momento della sua nascita, siano rispettati. Ora la Grecia, nei lunghi anni durante i quali si sono inutilmente susseguiti due costosi programmi di assistenza, ha ampiamente dimostrato di non condividere questi valori, di non voler fare le riforme che intaccherebbero interessi forti e non sempre limpidi, di essere un corpo estraneo e stonato nell’orchestra della moneta unica. Il responso del referendum cristallizza e legittima con il voto popolare questa diversità inconciliabile. Senza contare che, cedendo adesso davanti a Tsipras, ci esporremmo ad un ricatto referendario perpetuo: oggi la Grecia, domani la Spagna o il Portogallo, dopodomani l’Italia o la Francia. Il popolo ha ovviamente il diritto di decidere sovranamente se condivide i valori che sono alla base della moneta unica, e i greci hanno detto di non condividerli. Ma un popolo non può arrogarsi il diritto di cambiare i termini di un contratto liberamente firmato da altri Paesi ed altri popoli. Non esiste una democrazia più democratica di altre. Per tutti questi motivi, un euro senza la Grecia sarebbe una moneta più solida, più coesa, e più “politica” di quanto sia adesso.
Difficile, oggi, prevedere quale delle due linee alla fine prevarrà. Ancora più difficile capire quale possa essere il compromesso in grado di conciliare filosofie tanto lontane. L’unico vero pericolo è che, incapaci di trovare una posizione comune, la Francia e la Germania, e quindi gli altri europei, lascino alla Bce il compito di risolvere una questione altamente politica con gli automatismi burocratici di una procedura di default.