Repubblica 6.7.15
La sinistra in trappola
di Marc Lazar
LE CONSEGUENZE della vittoria del “no” non riguardano solo l’Unione europea e l’euro. L’impatto è devastante anche per la sinistra europea nel suo insieme, perché scava al suo interno una frattura più profonda che mai. La sinistra socialdemocratica, socialista o democratica è stata incapace di adottare una posizione comune. La Spd, che a Berlino è partner di governo della Merkel, non si è discostata dalla cancelliera, e Matteo Renzi si è attestato anche lui su questa posizione.
FRANÇOIS Hollande, fedele alle sue abitudini e al suo temperamento, ha tentato all’ultimo momento, la settimana scorsa, una sintesi impossibile, schierandosi con la Germania ma provando a tenere aperto il dialogo con Atene: ha dimostrato una volta di più la sua mancanza di fermezza e illustrato la limitata influenza della Francia sullo scenario europeo. Dopo le sconfitte dei laburisti britannici e dei socialdemocratici danesi, il caso greco mette clamorosamente a nudo, se ancora fosse stato necessario, la crisi profonda che attraversa la sinistra riformista in ognuno dei Paesi europei e a livello dell’intera Unione, presa in una trappola che si richiude pericolosamente: quando è al potere si dà da fare, come i partiti di centrodestra, per risanare le finanze pubbliche, favorire la competitività delle imprese e abbassare le tasse, sforzandosi al tempo stesso di rilanciare la crescita, adottare misure sociale per i più disagiati e intraprendere riforme della società (per esempio in favore delle coppie dello stesso sesso) per tentare di diversificare il suo elettorato espandendo la presa fra i ceti medi. Ma così facendo perde i suoi tradizionali elettori delle classi popolari, che subiscono il peso delle politiche di rigore, per non dire di austerità, vedono solo le convergenze con il centrodestra e si sentono traditi: ai loro occhi, questa sinistra manca di cuore, di progetto, di narrazione.
Al contrario, la vittoria del no è stata salutata con entusiasmo dalle minoranze di sinistra all’interno dei partiti riformisti, dalla sinistra della sinistra e anche dai populisti di estrema destra e da alcuni esponenti della destra. La sinistra della sinistra è molto eterogenea in Europa: è un’area che mette insieme partiti comunisti, socialdemocratici radicalizzati, movimenti di estrema sinistra marxista, formazioni nuove che come Syriza e Podemos non fanno più riferimento alla contrapposizione sinistra- destra ma all’antagonismo tra il popolo e la “casta”, una parola che si diffonde ovunque fuori dall’Italia. Ma al di là delle divergenze fra un partito e l’altro o all’interno di ognuna delle sue componenti, questa sinistra della sinistra ritiene che il referendum greco rappresenti una svolta storica, perché segna la condanna delle politiche di austerità da parte di un Paese membro dell’Unione Europea.
In ogni Paese, e dunque con delle specificità nazionali, la sinistra della sinistra, sbarcata ad Atene nel fine settimana con rappresentanti di quasi tutte le sue formazioni, vuole trasformare la meta cercando di pesare sul dibattito interno in seno ai partiti della sinistra riformista, e ancor più di invertire i rapporti di forza con quest’ultima. È l’ambizione di Stefano Fassina, di Pippo Civati e altri in Italia, o di Jean-Luc Mélenchon in Francia con il Front de Gauche. Il loro progetto sembra confuso? Il loro spazio politico sembra piuttosto limitato per via dei meccanismi elettorali? Le loro organizzazioni sono deboli e sparpagaliate? La loro retorica si basa su una forma di populismo radicale mentre i loro programmi spesso consistono semplicemente in un ritorno all’età dell’oro della socialdemocrazia degli Anni ‘60 e ‘70? Probabilmente sì.
Tuttavia, la cosa certa è che questa sinistra della sinistra può dare concretamente fastidio, avvantaggiando notevolmente la destra e le altre forme di populismo. Ma un’altra cosa certa è che la sua stessa esistenza solleva interrogativi di fondo che la sinistra riformista ormai non può fare a meno di affrontare e di risolvere: quale democrazia, quale politica economica, quale modello di crescita, quale tipo di lavoro, quale società, quale Europa, quale partito o ancora quali elettori vuole la sinistra? È arrivato incontestabilmente il momento che i riformisti intraprendano una riflessione approfondita — ed europea — invece di accontentarsi di una gestione alla giornata e affidarsi all’eventuale perizia comunicativa dei propri leader.
(Traduzione di Fabio Galimberti)