lunedì 6 luglio 2015

La Stampa 6.7.15
Il futuro possibile per l’Unione
di Stefano Stefanini


La Grecia si affida a Syriza per salvarsi. Malgrado le promesse elettorali il no ne avvicina l’uscita dall’euro; Tsipras e Varoufakis si illudono sperando di tornare a Bruxelles in una posizione di forza contrattuale. Troppo profondo il solco scavato con la controparte. L’ultima parola non è mai detta, ma la loro condotta ha rafforzato la tesi che l’uscita della Grecia sia salutare per l’euro, se non per Atene. Proveranno a far cambiare idea ma erano stati avvertiti. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Per l’Europa la posta in gioco è salvare se stessa dalle macerie della vicenda ellenica. I contraccolpi finanziari sono sostenibili e gestibili. Non così una crisi di fiducia nell’idea di Europa. Non così un braccio di ferro fra «debitori» invocanti più remissività (per non fare la fine della Grecia) e creditori più disciplina (per evitare che se ne ripetano altre). Se ogni leader europeo trarrà dalla crisi greca solo quanto più gli aggrada, si scaveranno subito le prossime linee di faglia nell’euro e, a seguire, nell’intera costruzione europea.
L’Europa è ben più importante della Grecia. Il voto di ieri può aver deciso le sorti della Grecia. Otto milioni di greci non possono decidere le sorti dell’Europa.
Calato il sipario sul referendum l’Unione ha tre ordini di problemi. Innanzitutto la crisi greca. Il tempo di estenuanti negoziati è finito. È ora di decisioni e di scadenze. E, se la Grecia uscirà dall’euro, di solidarietà a un partner Ue che avrà bisogno di assistenza economica e umanitaria. Il secondo tocca l’Eurozona. Occorre escludere altri casi Grecia, rassicurando così opinioni pubbliche, operatori economici e mercati finanziari. Non si ritorna alle lire o ai franchi. Mario Draghi ha già fatto la sua parte con il «a qualsiasi costo» il 26 luglio del 2012. Adesso tocca alla politica, alle capitali e alle istituzioni di Bruxelles. Il terzo investe l’intera Unione Europea. Settant’anni e tre generazioni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, un quarto di secolo abbondante dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Ue non può più vivere della rendita di pur incredibili meriti storici. È tenuta a rispondere alle inquietudini e alle aspettative della gente e ad assicurarsi il futuro in un mondo concorrenziale.
L’Eurozona ha bisogno delle riforme indispensabili alla gestione di una moneta unica. L’unica in buona parte realizzata è l’unione bancaria. Poi il processo si è fermato. Il recentissimo «Rapporto dei Cinque Presidenti» indica la strada da seguire, a cominciare dall’unione, o comunque dalla forte armonizzazione, fiscale. Pur finora avversate dalla Germania, vanno messe in cantiere formule di garanzia europea del debito sovrano (Eurobonds). Il Rubicone delle cessioni di sovranità è stato varcato con l’adozione dell’euro.
Una politica d’immigrazione e gli strumenti per attuarla, comprese misure di sicurezza, contenimento e respingimento, sono il banco di prova della sintonia dell’Ue con le opinioni pubbliche. L’Europa ha bisogno d’immigrazione e al tempo stesso la teme quasi visceralmente. Non può non accogliere immigrati e rifugiati; deve essere capace di filtrarli.
La principale sfida economica è il trattato per la liberalizzazione commerciale e degli investimenti con gli Stati Uniti (Ttip). Permetterebbe al vecchio consorzio Ue-Usa di continuare a fissare le regole del gioco internazionale. All’Europa offre, oltre a prospettive di crescita economica, anche l’unica carta in campo regolatorio, mentre gli Usa giocano anche sul tavolo del Pacifico. Infine, Bruxelles e Londra devono impegnarsi costruttivamente per mantenere il Regno Unito nell’Unione. Altrimenti Londra non avrebbe molte altre sponde, e perderebbe forse la Scozia; quanto all’Ue, i Club esclusivi non perdono mai membri importanti. Senza Londra la credibilità militare dell’Ue precipiterebbe.
La lista potrebbe allungarsi: allargamento, Russia, Balcani, Mediterraneo, politica energetica. In questo frangente meglio la chiarezza di poche, comprensibili priorità, senza sbandierare quel «più Europa» che spaventa un pubblico insicuro in cerca di rifugi identitari nazionali o regionali. Meglio concentrarsi, concretamente, su quanto l’Europa deve e può fare per i propri cittadini. Grexit o non Grexit.