lunedì 6 luglio 2015

La Stampa 6.7.15
Tsipras e Varoufakis al tavolo rilanciano la sfida con l’Europa
Ma preparano anche la moneta parallela e la nazionalizzazione delle banche
di Tonia Mastrobuoni


A novant’anni, il nonno di Achille Hekimoglou, ex partigiano comunista sopravvissuto a sei pallottole dei nazisti, ha lasciato i suoi risparmi in banca. E ha votato «sì». Perché crede nell’Europa.
Non si fida dei nipoti dei «suoi» comunisti, della sinistra radicale che sei mesi fa, per la prima volta, è riuscita a conquistare il potere. Ma dopo la vittoria schiacciante dei «no», il gruzzoletto del nonno di Achille è in mano a due uomini: il premier Alexis Tsipras e il suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis. Achille non fa che scuotere la testa, in questa afosa sera ateniese che cambierà per sempre la storia del suo Paese. «Sa come chiamano quelli del “sì” come il mio nonno?», racconta, con un sorriso amaro: «“Germanotsolias”, collaborazionisti nazisti». Non lo può raccontare al nonno, ne morirebbe.
Il «no» che ha conquistato la Grecia è un «no» di rabbia e di rifiuto dell’austerità. Forte di questo risultato travolgente, il governo vuole riprendere una trattativa con i creditori. Di Tsipras si vocifera che abbia avuto un esaurimento nervoso, in questi mesi complessi. Tempo fa disse sorridendo che se avesse ceduto troppo con la vecchia Troika, la moglie Betty avrebbe divorziato. E nelle ultime, convulse settimane, sembra essere diventato sempre più ostaggio dell’ala radicale del partito, dei duri e puri euroscettici capeggiati dall’arcinemico di sempre, Panagiotis Lafazanis. Di sicuro, quando ha deciso di rovesciare il tavolo della trattativa, il leader di Syriza sapeva di non avere più la maggioranza in Parlamento per far passare un eventuale accordo. Ma ora ha dimostrato che il Paese è con lui. Mai come adesso avrà bisogno di mantenere i nervi saldi.
«Il no - ha detto ieri notte in tv - non è una rottura con l’Ue. I greci hanno fatto una scelta coraggiosa che cambierà il dibattito in Europa». Fino a sabato, da Bruxelles a Berlino, i messaggi sono stati molto chiari: il «no» rischia di buttare la Grecia fuori dall’euro. Ieri, però, il ministro francese dell’Economia Macron ha detto che un negoziato va ripreso in ogni caso. E stasera, Angela Merkel incontrerà François Hollande all’Eliseo per decidere cosa fare. Uno spiraglio? Chissà. Ieri anche Tsipras ha parlato al telefono con il presidente francese. Se l’ingegnere quarantenne e Varoufakis hanno vinto una scommessa impossibile, la Grecia è al collasso.
Il guardiano delle sempre più disastrate finanze greche si è riunito ieri con i banchieri per evitare che i risparmi del nonno di Achille e quelli di altri milioni di greci si polverizzino. In serata, quello che tra gli omologhi dell’eurogruppo è considerato più un ostacolo che un mediatore serio, ha detto che il «no» è «una liberazione dalla gabbia dell’Eurozona». Dopo che la trattativa si era totalmente arenata per gli eterni duelli tra Varoufakis e Wolfgang Schäuble, Merkel ha dovuto riprendere il dialogo ai massimi livelli, qualche settimana fa. Per poi rendersi conto che anche Tsipras non era più disponibile al compromesso. Il premier ha riunito ieri sera il governo, secondo fonti politiche, per decidere il da farsi. La presidente dei banchieri, Louka Katseli, ha messo in guardia già venerdì che gli istituti avranno soldi soltanto fino a oggi e che il destino della Grecia, da stamane, è in mano alla Bce. Ma sul «piano B» del governo girano voci agghiaccianti. C’è chi parla dell’introduzione temporanea di una moneta parallela ad uso interno. «Se necessario - ha ammesso Varoufakis - emetteremo moneta parallela». Secondo una fonte, il governo pagherebbe salari e pensioni al 30% in euro e al 70% nella nuova valuta; unificherebbe i fondi pensione, nazionalizzerebbe banche e aziende. Soprattutto: sequestrerebbe la banca centrale greca per ricominciare a garantire sufficiente liquidità alle banche. Una mossa che rischierebbe di provocare l’espulsione di Atene dall’euro. Ma i colpevoli, in quel caso, sarebbero gli altri. E qualcuno pensa che questo sia stato, sin dall’inizio, il piano di Tsipras. C’è un’incognita: il presidente della Repubblica Pavlopoulos. Giorni fa ha detto che nel caso di un pericolo di ritorno alla dracma, si dimetterebbe, spalancando le porte a elezioni anticipate. A giudicare dagli ultimi sondaggi, Tsipras rivincerebbe a mani basse.
Oggi si riunisce il consiglio direttivo della Bce per una delle consultazioni più difficili della sua storia. Ieri sera la banca centrale greca le ha chiesto di poter aumentare l’Ela, di poter dare più fondi emergenziali agli istituti di credito, fermi a 89 miliardi di euro dal 26 giugno scorso. L’Eurotower è spaccato: tra chi vorrebbe interrompere subito i finanziamenti e chi teme di interpretare il ruolo del «cattivo» e costringere la Grecia al default prima che i suoi creditori prendano una decisione politica.
La morsa della liquidità ha già costretto Tsipras a chiudere le banche e introdurre un controllo «soft» dei capitali, con i prelievi quotidiani limitati a 60 euro. Indiscrezioni che avvelenavano ieri l’aria già asfittica della capitale, parlavano di una nuova stretta imminente: il governo potrebbe decidere di limitarli ulteriormente a 20 euro al giorno. Una corsa contro il tempo: il destino della Grecia si deciderà a cominciare da stasera, dal vertice parigino tra Angela Merkel e Hollande.