lunedì 6 luglio 2015

Corriere 6.7.15
Labirinto ellenico
di Federico Fubini


Sventolano le bandiere del No nella notte di piazza Syntagma e su almeno uno slogan di quei manifesti chiunque sarà d’accordo: graphoume istorìa , «scriviamo la storia». Dopo cinque anni di agonia, la Grecia di Alexis Tsipras ha consumato il più grande strappo nella storia di 65 anni di integrazione europea. Da stamattina il premier greco dovrà fare i conti con le sue promesse che, entro poche ore, rischiano di rivelarsi altrettante menzogne: aveva detto che l’accordo con il resto d’Europa ora sarebbe stato più facile, che la Grecia sarebbe rimasta nell’euro e le banche avrebbero riaperto domani. Non è certo che gli elettori manterranno l’ordine pubblico, quando scopriranno di avere a che fare con l’ennesimo demagogo.
La Grecia ora è più sola e entra in un capitolo nuovo, del tutto imprevedibile. Ma riletta ora, in un’Atene lacerata, c’è un’altra pagina di storia che all’improvviso appare, perversamente, l’atto fondante di questa Unione Europea: la guerra di Spagna. Fu quello il primo episodio in cui migliaia di ragazzi da tanti Paesi accorsero a schierarsi nella guerra ideologica di uno solo.
La Grecia di oggi non è la Spagna degli Anni 30, se non altro perché per fortuna non è teatro di una guerra.
E ppure un’occhiata ai voli delle compagnie a basso costo che servono Atene da Roma o Madrid, qualche dubbio lo dà: fa sospettare che la battaglia (politica) per la Grecia abbia una posta più vasta del futuro del Paese o anche solo della moneta unica, e che l’Europa fatichi terribilmente a liberarsi dei dèmoni della sua storia. In questi giorni la capitale greca è diventata la meta di migliaia di militanti e tifosi della politica accorsi a partecipare, respirare l’aria, sostenere Tsipras. Il pellegrinaggio di Beppe Grillo è solo il caso più chiassoso di un fenomeno di per sé tutt’altro che negativo. Da tempo l’Europa è politica interna. Il referendum consumato ieri sera però segna un salto di qualità e spiega in parte perché ci sentiamo tutti piombati in questo labirinto ellenico. Il dramma della Grecia si è scaricato sugli altri Paesi con una potenza emotiva senza precedenti, ma in Italia e in Spagna più che altrove perché in questi Paesi il No ha riscosso il sostegno più forte: quello di M5S e di Podemos.
Al netto del tragico radicalismo di Tsipras, è questa ramificazione europea che contribuisce a spiegare perché l’accordo con Atene è stato impossibile. Guidati dalla Germania, i creditori hanno cercato di sanzionare la condotta irresponsabile della Grecia anche per fermare il contagio della sua politica anti-sistema. L’inflessibilità era intesa anche come messaggio agli elettori di altri Paesi. Atene è diventata un simbolo così potente che pochi si sono accorti che nel frattempo il suo governo stava cambiando natura: da forza di sinistra, a partito della nazione tutto «dignità», intimidazioni ai poteri indipendenti e ammiccamenti al ruolo dell’esercito per mantenere l’ordine. Ora la Grecia si è auto-imposta la sua sanzione. Ma se Angela Merkel pensa che l’ulteriore disastro sociale che aspetta quel Paese raffreddi le forze anti-sistema altrove, rischia nuove delusioni.
Non si gestisce l’euro con le sanzioni esemplari. All’alienazione degli elettori che si sentono privati dei diritti economici, si risponde con un’integrazione non più solo monetaria ma politica e più attenta al dolore degli esclusi. Tsipras ha scelto il salto nel buio. A maggiore ragione chi è più forte in Europa adesso deve far prova di forza tranquilla e maggiore senso di responsabilità: spetta ai leader di oggi dimostrare che l’Europa è più forte dei suoi dèmoni di ieri.