lunedì 6 luglio 2015

Corriere 6.7.15
Che Europa sarà. Come tornare alla politica.
La sfida è far convivere nazionalismi e federalismo
Dai migranti alla Difesa, temi per un’azione comune
di Franco Venturini


Il difficile e il pericoloso vengono ora. Ora che una netta maggioranza di greci ha scelto di legittimare nelle urne la carta nazionalista di Tsipras.

Il difficile e il pericoloso vengono ora che è fallito il tentativo europeo di trasformare il contorto quesito referendario in una richiesta di Sì o di No all’Europa nel suo complesso, e soprattutto ora che non si vede come possano mutare i termini fondamentali della trattativa sin qui fallita tra la Grecia e suoi creditori. Confortati dalle urne, Tsipras e Varoufakis debbono scegliere tra una arroganza suicida e una maggiore voglia di compromesso resa possibile proprio dalla vittoria referendaria. L’Europa e il Fondo Monetario, che non troppo segretamente speravano di avere a che fare da oggi con un diverso governo greco, dovranno scegliere anche loro tra una intransigenza contabile senza sbocco (e molto invisa all’America) e un ritorno della politica. Si potrà colmare le differenze non enormi che esistevano prima della rottura, oppure, all’estremo opposto, la Grecia uscirà «provvisoriamente» dall’euro per poi, forse, rientrarvi? Di sicuro c’è soltanto, in queste ore, che dal punto di vista politico il coinvolgimento degli elettori in una controversia finanziaria a forte contenuto sociale rappresenta in Europa un precedente che moltiplica e drammatizza i quesiti già esistenti sul futuro dell’Europa.
Il referendum greco potrà accelerare o rinviare la paralisi progressiva che si sta impadronendo dell’Europa ormai da almeno un decennio, ma non cambierà il vero quesito che dovrebbe essere posto a noi tutti e ai nostri governi: l’Europa compirà un «grande balzo in avanti» di maoista memoria, oppure affonderà disgregandosi? E se avrà il coraggio di scegliere la prima opzione, quali traguardi immediati si porrà, consapevole come è che aveva ragione il fisico sovietico Andrei Sakharov (Nobel per la pace) quando avvertiva che «un carro non può stare a lungo fermo in salita, perché finisce per arretrare e andare a sbattere»?
Una risposta molto diffusa è che l’avanzata per non soccombere deve chiamarsi Unione politica, che l’Europa deve riscoprire i suoi padri fondatori e diventare federale. Seguendo questa via non soltanto a livello ideale o come traguardo finale ma nella pratica e in tempi il più possibile ristretti, nuove istituzioni unitarie terrebbero a bada le logiche nazionali, forti autorità federali eviterebbero la montagna degli errori commessi (per dirne una di attualità, la Grecia doveva certo far parte dell’Europa per ragioni di cultura e di civiltà, ma un minimo di controllo le avrebbe impedito di entrare nell’Unione monetaria), e l’equilibrio dei necessari sacrifici economici risulterebbe garantito non più dalla forza di un Paese (inutile dire quale) ma da organismi condivisi e maggiormente portati alla solidarietà. Sarei pronto a sottoscrivere questi traguardi se non avessi davanti agli occhi una Europa che li rende irraggiungibili. Anche Angela Merkel parlò molto dell’Unione politica nel 2012-2013, ma previde un decennio per raggiungere il traguardo, e oggi non ne parla più. Forse perché sa che l’Europa potrebbe non avere un decennio. Solo Emma Bonino, da noi, si è spinta a riflettere sul come conciliare nazionalismi e federalismo, e questo è già un grande merito anche se l’esito resta incerto. Chi aderirebbe, oggi, a una riforma tale da mettere in essere una Unione politica? L’Italia probabilmente sì, ma rischierebbe di trovarsi in ben scarsa compagnia.
Il salvagente dell’Europa risiede invece in primo luogo nel realismo con tutte le sue brutture, e subito dopo negli sforzi di integrazione progressiva lasciando che un nocciolo duro e trainante si formi da solo nei fatti, senza necessariamente identificarlo nell’Eurogruppo. Le iniziative borderline della Bce sono, indirettamente, integrazione. L’Unione bancaria è integrazione, forse la più importante soprattutto se sarà completata come prevede il «documento dei cinque Presidenti» approvato in Consiglio mentre i partecipanti si accapigliavano sulla questione dei migranti. Integrazione realistica e progressiva sarebbero appunto una politica comune sui migranti più ragionata dei protocolli di Dublino, una politica energetica comune, uno sforzo per moltiplicare le occasioni di coordinamento in politica estera, il tentativo di ricavarne una politica di difesa e sicurezza comune che qualche insufficiente progresso lo sta facendo davanti alla minaccia terroristica. E poi una grande campagna di informazione che eviti il burocratese, la moltiplicazione di iniziative tipo Erasmus, la risposta fattuale e non ideologica agli anti-europeisti di convenienza o di sofferenza.
L’Unione politica e l’Europa federale restano obbiettivi da perseguire nel tempo, ma oggi sono voli pindarici che servono a non affrontare il disastro sul terreno. Anche l’integrazione passo dopo passo appare difficilissima, e per questo comporterà, se avrà luogo, non solo due ma numerose velocità. Una nuova versione dei cerchi concentrici cari a Renato Ruggiero, insomma. La Gran Bretagna? Con noi, purché non pretenda di farci ulteriormente arretrare. La Merkel? Forse è vero che la chiave di tutto è lei. Statista o galleggiatrice? L’Europa si salverà soltanto nel primo caso, e se tornerà in scena una Francia che non sempre è stata europeista, ma la cui sostanziale scomparsa ci fa rimpiangere quella del passato .