domenica 5 luglio 2015

Repubblica 5.7.15
Alla fiera dell’Est
Letteratura, cinema arte. È l’Europa orientale il luogo delle innovazioni
di Andrea Bajani


La cultura degli ex Paesi sovietici è diventata mainstream. Festival e rassegne premiano i nuovi film. Quest’anno la Polonia ha guadagnato il suo primo Oscar con “Ida” di Pawlikowski. Sperimentazione e inventiva contraddistinguono la giovane narrativa. La fiaba tradizionale slava “Masha e Orso” è ormai un cartoon dal successo planetario, che ha superato “Peppa Pig”
E la vitalità produttiva interessa anche i videogiochi: da “The Witcher” a “Stalker”

All’inizio degli anni Novanta, all’indomani della caduta del Muro, la fotografa francese Sophie Calle, andò a Berlino, come tanti, per vedere e poi documentare quella specie di sproposito storico. A differenza di molti, però, piuttosto che concentrarsi sulla nuova pienezza di senso (l’esultanza, le picconate al cemento armato, le braccia al cielo, l’incredulità di fronte alla nuova epoca e al nuovo credo), decise di concentrarsi sul vuoto. Alcuni dei monumenti simbolo del recente passato sovietico erano stati abbattuti: tra questi, il corpo in bronzo di Lenin, spinto nella polvere con qualche mezzo meccanico e un applauso di malinconica e circospetta speranza da parte dei presenti.
Nel 1996 Sophie Calle pubblicò in Francia il risultato di questa sua ricognizione. S’intitolava Souvenir de Berlin-Est e giustapponeva, su una doppia pagina, due scatti: un luogo berlinese ante 1989 e dunque con monumento sovietico annesso (si trattava di fotografie recuperate dagli archivi) e lo stesso luogo dopo che le truppe della Storia avevano portato via di peso le spoglie del passato.
In quel venir meno di un pieno così pervicacemente puntellato («Ho fotografato l’assenza», scriveva la Calle nei testi di accompagnamento) si metteva in moto una delle più grandi vertigini della fine del Novecento. L’Occidente, che aveva strutturato la propria identità nella contrapposizione, spingendo in direzione contraria contro il muro e dunque in qualche modo tenendolo in piedi, perse l’equilibrio appena il muro venne giù e ancora oggi ricerca annaspando il baricentro. L’Est decise viceversa che quell’assenza era un vuoto da abitare. Così dopo il lutto e lo smarrimento venne l’immaginazione, che era una specie di rivolta contro il letto di Procuste della Storia. Quella stessa che oggi fa dell’est Europa una delle zone più vitali e artisticamente innovative del pianeta.
Non è un caso che uno dei film che hanno segnato l’immaginario del dopo 1989 – seppur girato quindici anni più tardi – sia stato Goodbye Lenin , di Wolfgang Becker, che insieme a Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck ha fornito il racconto nuovo di un mondo tramontato. Cadute le statue di Lenin, sgomberate le piazze, si è inaugurato il tempo dello sgomento e del ripensamento. Il crollo ha scosso il Tempo da un torpore che lo stava strangolando e ha preteso racconti differenti. Per certi versi, il fallimento del racconto ufficiale ha incoraggiato e reso plausibili visioni alternative: se nulla c’era da perdere perché tutto era perduto, allora tutto poteva essere.
Così, mentre l’Occidente celebrava, con la sconfitta del Nemico, una specie di eternizzazione spenta di se stesso, l’Est prima moriva e poi rinasceva scommettendo sui primi passi che si apprestava a fare. È da queste ceneri che nasce l’esplosione artistica dell’Est: il trionfo del cinema romeno con la Palma d’oro a Cannes nel 2007 di Cristian Mungiu (con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni ) e i cineasti di quella che venne chiamata “la nuova ondata” (Puiu, Porumboiu, Muntean, Mitulescu). Di qui ll caso Kerenes , del giovane Calin Peter Netzer, Orso d’oro a Berlino nel 2013; o ancora Leviathan del russo Andrej Petrovic Zvjagincev (Golden Globe per il miglior film straniero nel 2014), e Ida , del polacco Pawel Pawlikowski, Oscar quest’anno per il miglior film straniero.
È su quei piazzali sgomberati dalle macerie del passato nell’Europa orientale (nonostante, a dispetto degli stereotipi, in molte città russe Lenin si sbracci ancora dalle statue), che l’Est ha dato forma a un immaginario che oggi sbalordisce per vastità, coraggio e visionarietà. Dal videogioco ( The witcher, Stalker ), all’animazione ( Masha e Orso ) all’architettura, fino alla letteratura, è là che oggi si azzardano soluzioni, si battono nuovi sentieri che arrivano poi come meteoriti sul mercato dei nostri paesi. Di contro all’addomesticamento delle forme – soluzione artisticamente ed economicamente miope alle retoriche della crisi – l’Est sperimenta forme nuove, incurante dei botteghini e del piano economico delle case editrici.
Edall’est arrivano alcune tra le esperienze letterarie più interessanti degli ultimi vent’anni: dalla Bulgaria Georgi Gospodinov ( Fisica della malinconia , Voland, nella traduzione di Giuseppe Dell’Agata), dalla Polonia Olga Tokarczuk ( Guida il tuo carro sulle ossa dei morti , tradotto da Silvano De Fanti per Nottetempo), dalla Romania Mircea Cararescu ( Abbacinante. Il corpo, a cura di Bruno Mazzoni per Voland), dalla Croazia Dubravka Ugresic ( Baba Jaga ha fatto l’uovo , tradotto per Nottetempo da Milena Djokovic) dalla Russia Zachar Prilepin ( Scimmia nera, nella traduzione di Niccolò Galmarini per Voland). In tutti i casi si tratta di romanzi non lineari, destrutturati, visioni inusitate, ulcerate o poetiche, che però non negano al lettore il piacere di stare dentro una storia. Tutto questo sia detto mentre è da pochi giorni in libreria il linguisticamente notevole La montagna in festa della daghestana Alisa Ganieva (la nuova frontiera, nella traduzione di Claudia Zonghetti) e la russa Katja Pretrowskaja si è appena aggiudicata lo Strega Europeo con
Forse Esther (Adelphi, traduzione di Ada Vigliani).
Dallo sgomento del crollo di un mondo alla conseguente vertigine della visione. Dal tempo condizionato di una Storia ufficiale scritta per tutti all’insubordinazione anarchica di un’arte che chiede tutto a se stessa, in barba a tutte le retoriche a perdere, quando non apocalittiche, degli ultimi anni. È così che oggi la vecchia Europa dell’est si affaccia con tutta la forza di chi ha visto un mondo finire e però ne ha visto anche un altro ripartire e vuole vederlo andare avanti.
Che ha negli occhi il trauma ma al tempo stesso ha reimparato, anche se a forza, la curiosità e la tensione verso il nuovo. Che arriva con il piglio del principiante tra i professionisti, laddove per principiante non s’intende chi ha poca esperienza, ma chi non accetta per convenzione implicita che ci sia un protocollo da rispettare. Perché l’arte non ha protocolli, e in fondo non prevede nemmeno rispetto a priori.