domenica 5 luglio 2015

Corriere La Lettura 5.7.15
Il martello della scimmia-uomo
Scoperti in Africa oggetti in pietra di 3,3 milioni di anni fa. Forse si tratta delle prime tracce dell’«anello mancante»
di Edoardo Boncinelli


La nostra specie differisce da tutte le altre per il possesso di una serie di facoltà che la caratterizzano, prima fra tutte l’apprendimento e l’uso di un linguaggio articolato. Esiste però anche una differenza per così dire «esterna» fra noi e loro: noi costruiamo e utilizziamo in continuazione un certo numero di strumenti, intendendo per strumenti oggetti naturali, oggetti naturali modificati o oggetti assolutamente innaturali, usati da ciascuno di noi per raggiungere scopi pratici precisi e specifici.
Dal sasso scagliato alla semplice fionda e al trapano elettrico, siamo sempre stati caratterizzati da un uso strumentale degli oggetti più diversi, per rendere più semplice la nostra vita e cambiarne in definitiva il rapporto con il mondo in cui ci troviamo a vivere. Gli strumenti sono utilizzati dalle diverse parti del nostro corpo, ma «pensati» da una parte della nostra mente, appunto la mente strumentale. Insomma, nessun elemento biologico ci caratterizza di più della capacità di costruire e utilizzare strumenti.
Quando è cominciato tutto questo? Si diceva fino a poco tempo fa che i primi strumenti riconoscibili, strumenti di pietra, cioè litici, risalivano a circa 2,6 milioni di anni fa ed erano opera di un nostro diretto antenato che abbiamo chiamato Homo habilis . Da allora i nostri antenati hanno sempre utilizzato strumenti più o meno rozzi, che hanno subito un’evoluzione inizialmente lentissima, ma poi sempre più spedita.
Parallelamente a tale evoluzione degli strumenti si è registrata una crescita ponderale del nostro cervello, crescita che consideriamo allo stesso tempo come causa ed effetto del progredire di tali tecnologie primordiali: più cervello comporta la costruzione e l’uso di strumenti più evoluti, ma è anche vero che la costruzione e l’utilizzazione quotidiana di strumenti sempre più evoluti ha favorito — qualcuno direbbe causato — lo sviluppo di un cervello più capace, in un processo lungo, ma continuo o quasi.
Oggi sono stati scoperti altri strumenti litici primordiali, che risalirebbero niente meno che a 3,3 milioni di anni fa, cioè a 700 mila anni prima di quanto si riteneva, e che potrebbero essere stati usati da nostri antenati che, forse, non sono nemmeno ascrivibili al genere Homo , la cui origine si fa al momento risalire a 2,8 milioni di anni fa. Si possono fare diverse osservazioni, ma prima di tutto una. Abbiamo probabilmente trovato il famoso «anello mancante» tra primati scimmieschi e uomini moderni, un anello che per il momento è più di tipo funzionale che anatomico o fisiologico, ma che forse è l’unico anello che sia mai esistito.
Le attuali scimmie antropomorfe non usano strumenti, con l’unica notabile eccezione di alcuni scimpanzé che utilizzano una pietra per rompere il guscio delle noci, ma fanno sempre e soltanto quello, mentre noi ne facciamo un uso variato e quotidiano. Gli strumenti rinvenuti in Kenya, essenzialmente teste di martello di un qualche tipo e incudini, mostrano di essere stati utilizzati per più di uno scopo, e ciò li connota piuttosto marcatamente come umani o usati da umani.
Non abbiamo notizie certe sull’utilizzatore degli strumenti datati 3,3 milioni di anni fa e scoperti nel sito Lomekwi 3 sulla riva occidentale del lago Turkana nel Kenya. Non le abbiamo, per il momento, perché non sono stati rinvenuti resti fossili accanto agli strumenti litici, e quindi possiamo fare solo delle ipotesi. Fermo restando che un nome è solo un nome, e che le classificazioni biologiche sono sempre soggette a revisione anche profonda, le conoscenze attuali ci portano a escludere che in un’epoca così remota si potesse parlare già di individui del genere Homo , ma non si sa mai. Certo, se non si trattasse di individui del nostro genere Homo , la notizia sarebbe ancora più interessante. Staremo a vedere.
Resta comunque il fatto che un nostro antenato usava strumenti già allora, e sicuramente non era ancora un essere umano come lo conosciamo noi. Che cosa sia successo nella testa di individui come questo non è dato saperlo, ma non dovrebbe trattarsi di una cosa da poco. Costoro hanno cominciato a vedere, spontaneamente o sotto la spinta dell’imitazione, una realtà al di là della realtà: un ciottolo è un ciottolo, ma può essere anche qualche altra cosa. La sua natura è trasfigurabile e, una volta trasfigurata, l’oggetto non è più lo stesso.
Continua a essere un ciottolo e a figurare nell’inventario dei comuni ciottoli, ma viene ad appartenere anche a un certo numero di categorie pensabili diverse, dal proiettile allo schiaccianoci, dal raschiatoio alla punta di lancia, dal maglio alla lama primordiale. Chi pensasse che ciò sia senza importanza e che non si sia ancora raggiunto così il pensiero astratto, ha capito ben poco della mente e del suo funzionamento di ieri e di oggi.
È possibile anche supporre che costui, come tutti i tipi di anelli mancanti, abbia fatto presto una brutta fine, perché non era ancora «né carne né pesce », e perché le specie umanoidi successive lo avranno certamente sterminato, come hanno fatto con tutti coloro che vedevano più simili d’aspetto. D’altra parte il concetto stesso di anello mancante è finalizzato solo a mettere in discussione la visione evoluzionistica del mondo organico e in particolare della nostra origine.
La natura non conosce anelli mancanti, ma solo una lunghissima serie di passaggi progressivi verso il mondo come è oggi. Esiste poi una lunga teoria di questioni che ci possiamo porre: come era fatto tale individuo, di quanti individui era composto il suo gruppo o la sua popolazione, quale è stata la velocità dei successivi cambiamenti e come questi siano in relazione nel tempo fisico e nel tempo biologico con la crescita del nostro cervello, che allora era appena un terzo di quello di oggi.
Tutte questioni importantissime, che solo ora possono essere affrontate con qualche speranza di soluzione, ma che non mancheranno di insegnarci molto. Sulla nostra natura e sulla cultura nel suo senso più lato. L’uso degli strumenti ha, infatti, un preciso versante culturale e sociale, anche se primordiale. Da una parte, c’è chi possiede tale conoscenza «astratta» e chi non la possiede e deve apprenderla, con tutti i riflessi che ciò può avere sulla struttura della compagine sociale. Dall’altra, l’uso di uno o più strumenti interferisce con la progettazione e l’esecuzione di battute di caccia in gruppo o di azioni di difesa del territorio, e con la comunicazione all’interno del gruppo stesso.
Da questo punto in poi il processo evolutivo dovrà tenere conto, per ogni individuo, di almeno due livelli di intelligenza di tipo diverso: un’intelligenza prevalentemente strumentale e una prevalentemente sociale. Quest’ultima riguarda le complicatissime relazioni sociali umane: di chi fidarsi e di chi non fidarsi, chi rispettare e chi temere, di quali segnali fare tesoro e come interpretare le indicazioni corporee più diverse, che cosa manifestare e che cosa no dei propri sentimenti e delle proprie sofferenze, nonché la capacità di non farsi nemici inutilmente e, casomai, farsi prendere a benvolere da alcuni, se non da tutti.
Sono insomma i problemi di oggi, ma proiettati in un passato per noi quasi inimmaginabile, in un mondo molto più ostile di quello di oggi e con conoscenze tecniche e strumentali veramente primordiali. Non si può non notare quanto diverse siano state da allora le strade prese dall’intelligenza strumentale e da quella sociale: fulminante e trionfale affermazione della prima, incerto e risicato cammino della seconda. Possediamo oggi le armi più mirabolanti, ma non riusciamo a stabilire una pace duratura e diffusa.
Complessivamente siamo piuttosto sani e pasciuti, ma ci sono popoli affamati e stremati dalle malattie più insidiose, da certe parti si va tutti a scuola e da certe altre ciò non è permesso o addirittura lecito. Prometeo ci ha dato il fuoco, ma non la chiave delle relazioni umane. Perché mai? Perché tutte le religioni ci dicono cosa fare e cosa non fare ai nostri simili, mentre non ci insegnano a fare ponti o strade? L’animale che è in noi soggiace verosimilmente alle nostre imprese strumentali e tecnologiche, ma non ce la fa a mutarsi dalle fondamenta e resta quasi lo stesso di milioni di anni fa. Quasi avesse un’anima metallica che non si lascia piegare facilmente (il Dna della specie?). Può anche darsi che si tratti di una suprema astuzia della natura, che fa meno fatica a farci sopravvivere così che non in un modo più «civile».
In fondo l’unico vero scopo della natura è quello di farci sopravvivere e riprodurre. Il resto è un problema nostro, a cui essa è sostanzialmente estranea.