domenica 5 luglio 2015

Repubblica 5.7.15
Dmitry Glukhovsky.
“Il nostro segreto? Viviamo in una società violenta e a pezzi”
intervista di Jaime D’Alessandro


Un capitolo alla volta, pubblicati gratuitamente sui social network a partire da marzo. Fino all’undicesimo, uscito il 12 giugno durante la Festa della Russia, mentre il libro completo dei suoi ventitré capitoli veniva dato alle stampe e scalava le classifiche nazionali arrivando al terzo posto dietro Boris Akunin e Jo Nesbø. Si conclude così Metro , la trilogia post apocalittica di Dmitry Glukhovsky.
Immaginata nella metropolitana di Mosca, quando l’autore era uno studente e doveva viaggiare per un’ora intera andando e tornando dal liceo, racconta proprio di quella metropolitana divenuta microcosmo per ciò che resta dell’umanità in un futuro non troppo lontano. Fra fazioni politiche che si dividono le varie fermate e un mondo esterno radioattivo, mutato, ma solo apparentemente bestiale.
Il primo romanzo del 2002,
Metro 2033 , dopo dieci rifiuti da parte degli editori fu messo a disposizione di tutti sul web. Lo scaricarono due milioni di persone e grazie ai commenti venne arricchito prendendo la sua forma definitiva. Era la stessa Russia di I guardiani della notte , il libro fantasy di Sergej Luk’janenko diventato serie di film ed epopea letteraria. Era l’inizio di una nuova scuola est europea, ne fa parte anche The Witcher del polacco Andrzej Sapkowski, che avrebbe trasformato radicalmente generi propri dell’Occidente.
«Contano più i lettori che gli acquirenti, per questo pubblico sempre parte dei miei romanzi online», spiega Glukhovsky oggi trentaseienne da Mosca. «Voglio che Metro 2035 arrivi in tutte le case, fa parte di una strategia per conquistare il mondo».
Con dei romanzi di fantascienza?
«Ha ragione. Andrebbe meglio una serie tv, che è la cosa più potente in circolazione. I libri sono per un pubblico di nicchia ormai, anche se è una nicchia che conta. Ma l’epopea di
Metro è stata tradotta in trentasette lingue, è diventata fumetti e videogame, è un universo in evoluzione arricchito dal contributo di altri scrittori. E poi sulla tv e sul cinema sto lavorando».
Nel frattempo la scuola est europea nata fra fantasy e fantascienza, il mondo lo sta conquistando davvero. Dieci anni fa da noi Sapkowski, per fare un esempio, era uno sconosciuto. Come i videogame fatti nell’ex Unione Sovietica. Un fulmine a ciel sereno per il mondo dei videogame, quando uscì nel 2007. Post apocalittico anche lui, ambientato nei pressi della centrale atomica di Chernobyl e fatto tutto in Ucraina, sembrava uno sparatutto. Poi invece… «Poi invece ti ritrovavi a passare il tempo seduto attorno al fuoco, ascoltando qualche soldato che suonava la chitarra o ti perdevi nelle storie dei personaggi che incontravi in quella terra di nessuno contaminata e in mano ai contrabbandieri di materiale genetico contaminato ».
Non a caso i videogame basati sull’universo di Metro sono fatti da parte di quel team di sviluppo di Kiev.
«Esatto. Perché Shadow of Chernobyl non era puro intrattenimento, era la rappresentazione della vita partendo dal film di Tarkovskij. Call of Duty o Battlefiled (videogame di guerra fatti in Occidente molto popo-lari, ndr. ) sono giochi che esprimono poche emozioni e tutte molto basilari. Vengono da una società sicura. La nostra, che è invece una società violenta e a pezzi, crea storie diverse dove il valore sta nel riuscire a stabilire un rapporto di amicizia e condividere qualche sogno. E così arrivi a rompere le regole di un genere: uno sparatutto diventa una storia emotiva e profonda, un libro fantasy si trasforma nello specchio dei conflitti politici dove non c’è mai né nero né bianco. L’inaspettato apre sempre nuovi orizzonti. È stato così anche per Stalker , il film intendo, tratto da Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatski. Loro hanno iniziato a fare fantascienza con una forte impronta sociale quando in Unione Sovietica i generi quasi non esistevano. Noi abbiamo continuato stravolgendo da dentro fantasy e fantascienza».
Ha chiuso con Metro?
«Si, questo è l’ultimo libro. Ma ci sarà un nuovo videogame, che al solito avrà una trama originale, e il suo universo continuerà ad espandersi».
E dopo?
«Sto pensando al realismo magico. Il mio prossimo romanzo parlerà della mia famiglia, dei suoi antenati e di come, dal mondo dei morti, parlano con i vivi».
Parla il russo Dmitry Glukhovsky, l’autore di “Metro”, epopea cult tradotta in trentasette lingue. “Abbiamo rotto le regole dei generi”