giovedì 16 luglio 2015

Repubblica 16.7.15
L’Fmi boccia l’accordo e minaccia di sfilarsi: debito insostenibile, va ridotto
Fulmine a ciel sereno per Bruxelles che teme il sabotaggio “americano” all’intesa raggiunta con Atene
Nel Fondo Monetario cresce la fronda dei Paesi emergenti
di Federico Rampini


Il Fondo monetario boccia l’intransigenza di Berlino e Bruxelles sulla Grecia. La pseudo- soluzione della crisi greca non lo convince. «Non funzionerà se non si cancella una parte dei debiti di Atene», è il verdetto che arriva da Washington.
Che cosa succede quando una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile? Presto dovremmo saperlo. La forza delle cose è in rotta di collisione con l’ideologia tedesca. Il Fondo monetario non è un covo di no-global, non simpatizza con l’ala dura della coalizione Tsipras. Ma a Washington sanno fare i conti, soprattutto quando si tratta di default, bancarotte sovrane: è il loro mestiere. E i conti del Fondo monetario sono questi. Il debito greco era il 127% del Pil di quel paese all’inizio della crisi. Oggi, grazie alla cura Merkel detta anche euro-austerity, è salito al 176%. L’accordo recente raggiunto fra i creditori europei e il governo Tsipras, poiché non prevede perdoni dei debiti pregressi, farà salire quel quoziente al 200% in soli due anni. Ma quando un paese ha un debito pubblico che è due volte la sua produzione annua di ricchezza, in base alle regole (e all’esperienza passata) del Fmi, oltrepassa la soglia della “sostenibilità”. Diventa matematicamente impossibile invertire la tendenza. Come un aereo che si “avvita” e non reagisce più ai comandi, perché ormai la forza di gravità lo attrae in modo irresistibile verso lo schianto finale.
La presa di posizione del Fondo, rivelata ieri mattina dall’agenzia Reuters, è stata accolta a Bruxelles come un fulmine a ciel sereno, a Berlino come un tentativo di sabotaggio “americano” dell’intesa faticosamente raggiunta nei giorni scorsi. Ma la sorpresa europea è sorprendente. Il Fondo ha sempre sostenuto queste posizioni, maturate in decenni di esperienze alle prese con degli Stati che falliscono. A un certo punto bisogna dire ai creditori: rassegnatevi, mettete una croce su una parte dei vostri crediti perché non li vedrete più; salviamo il salvabile, non uccidiamo l’economia dello Stato insolvente, così almeno potrete recuperare una parte di quel che vi spetta. E’ vero che il Fmi non applica a se stesso quei sacrifici che vuole imporre ad altri: i suoi crediti verso la Grecia hanno la precedenza su altri. Ma queste sono regole antiche, del resto an- che i tribunali fallimentari nel liquidare un’azienda devono rispettare una sequenza precisa nell’ordine dei rimborsi.
Fin dall’inizio di questa terza puntata della tragedia greca (tre puntate, quanto i prestiti fin qui associati ad altrettanti “salvataggi”) il Fondo lo aveva detto: non se ne esce se si continuano ad accumulare nuovi prestiti ad Atene che vanno a sommarsi ai debiti precedenti. Qualcuno a Berlino crede davvero che generazioni multiple del popolo greco, i bisnipoti e trisnipoti dei nostri contemporanei, potranno continuare a pagare le rate di questo mutuo? Fino al secolo ventiduesimo? E con un’economia che si restringe di anno in anno? Il capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, fu il primo degli esponenti della troika (Commissione Ue, Bce, Fondo) a decretare “il re è nudo”, quando definì l’euro-austerity “un insuccesso”.
Pesano anche delle logiche interne al Fmi, ci sono anche lì dentro scontri politici. La direttrice Christine Lagarde è in gara per la successione a se stessa, deve stare attenta a non inimicarsi alcune constituency. Tra gli azionisti del Fmi cresce la fronda dei paesi emergenti: considerano che per la Grecia si è fatto fin troppo, ed è la più grossa bancarotta sovrana mai gestita dall’organismo di Washington dai tempi della sua fondazione a Bretton Woods (1944). Anche l’Amministrazione Obama deve tener conto dei mugugni tra i paesi emergenti, perché rischiano di tradursi in altrettanti appoggi alla “finanza globale alternativa” che viene edificata pazientemente dalla Cina. In ogni caso lo statuto del Fondo parla chiaro, gli vieta di prestare altri capitali ad un paese che abbia superato la soglia critica della “sostenibilità” del debito. Non resta che una soluzione, piegare la resistenza tedesca e introdurre un “haircut”, quel taglio dei capelli che è l’immagine metaforica per illustrare il sacrificio richiesto alla comunità dei creditori. In questo caso, una rasatina soprattutto al resto dell’eurozona, Germania in testa. In quanto al dilemma tra chi vincerà questa sfida Berlino-Washington, ne va della sopravvivenza per i più deboli, in Grecia. Nei tempi antichi in quel paese che fu la culla della logica, il paradosso era stato risolto dai filosofi. «Se la forza sposta l’oggetto, allora esso non è inamovibile. Se la forza non lo sposta, non è inarrestabile».