mercoledì 15 luglio 2015

Repubblica 15.7.15
L’avanzata dei populisti
di Piero Ignazi


IL CORO unanime che vede nella capitolazione di Alexis Tsipras la sconfitta dei populisti si basa sul presupposto che la vittoria della Germania e dei suoi alleati, imponendo misure giugulatorie alla Grecia, ben più pesanti di quelle offerte alla vigilia del referendum, obblighi ad un bagno di realtà gli anti-euro e gli euroscettici. Tutto il contrario. Quanto è successo in questo fine settimana a Bruxelles alimenta invece sentimenti antagonisti a tutto quanto “scenda” dall’Unione Europea. Lo schema classico del populismo, la sua contrapposizione netta tra chi è forte e chi debole, tra chi ha potere e chi ne è privo, tra l’ establishment e la gente qualunque, è rinvigorito dall’umiliazione alla quale è stata sottoposta la Grecia.
E non è solo la dinamica populista a riprendere forza. Ben più pericoloso è l’impatto dell’“arroganza” tedesca sulle opinioni pubbliche dei vari Paesi. La drammatizzazione messa in scena in queste ultime settimane, quella di un Paese con pensionati disperati di fronte a banche chiuse — e di peggio vedremo in futuro quando la nuova, massiccia, dose di austerità, degna di cerusici impazziti in frenesia da salasso, avrà prodotto il suo effetto — rimette in circolo i peggiori cliché sulle nazioni. Peraltro il meccanismo era già stato attivato: da tempo l’opinione pubblica del Nord Europa, e soprattutto tedesca, veniva nutrita da una visione del lato Sud del continente come una landa di fannulloni, scansafatiche e truffaldini. E non c’è dubbio che Angela Merkel dovrà giustificarsi di fronte a quell’opinione pubblica, inferocita nei confronti dei pigri mediterranei, per l’ennesimo “regalo” fatto loro (quando invece tutti i soldi prestati sono tornati a casa: ma questo, nessuno lo dice, ovviamente). Ma così come i “rigoristi” nordici trattano coloro che non seguono le loro ricette con infastidita sufficienza mista ad irritazione, altrettanto gli euroscettici cementano la loro ostilità all’Unione Europea sulla base di stereotipi nazionali, a incominciare dal tedesco cattivo, rigido e punitivo.
Il disastro di questi giorni sta tutto qui: nel riemergere di visioni dei vari Paesi fondate su pulsioni emotive e irrazionali; di interpretazioni delle dinamiche comunitarie su basi esclusivamente nazionaliste. Certo che l’atteggiamento del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble è stato quasi provocatorio, ma questa sua pur legittima posizione si è tramutata nell’immagine della Germania aggressiva e violenta. Il virus nazionalista viene da lontano ed è molto più potente delle infatuazioni peroniste dei descamisados nostrani o spagnoli. È sui sentimenti di chiusura nazionale e di ostilità all’altro che Marine Le Pen e compagnia lanciano la loro sfida anti- europea. La sconfitta del loro cavaliere solitario ateniese, ancorché politicamente agli antipodi, stimola propositi di rivalsa contro le nazioni potenti e arroganti. Altro che bagno di realtà.
Sono bastati pochi anni e l’Unione Europea ha acquisito centralità nel conflitto politico. Con un paradosso: che nessuno difende convintamente la costruzione europea: quando va bene, la si accetta passivamente, come un dato di fatto. Invece si mobilitano gli oppositori, e mietono successi. Ulteriore paradosso: Syriza e il suo leader non hanno mai detto di voler abbandonare l’euro o la Ue, contrariamente a tanti altri partiti oggi anche al governo in Finlandia e in Danimarca (lasciando poi a latere le ambiguità dei conservatori britannici). Eppure sono stati additati come i nemici dell’Unione. Piuttosto sono stati pasticcioni e ingenui; e infine, con il referendum, autolesionisti. Ma mai anti- europei, semmai favorevoli come tanti ad una Unione diversa. E sono disposti a tutto pur di rimanere nell’euro, cioè a sentirsi europei. I nazional-populisti di estrema destra utilizzano tutt’altre categorie interpretative, imperniate sul recupero di sovranità nazionale — che ha come corollario l’uscita dall’euro — sul rimarcare i confini, sulla esaltazione delle differenze, sulla negazione di finalità e destini comuni e solidali. Le vicende di questi giorni forniscono argomenti ad abundantiam per riattivare nel profondo delle coscienze collettive dei Paesi europei sentimenti ostili degli uni contro gli altri. I populisti di ogni specie, e principalmente quelli di ispirazione nazionalista, che sono di gran lunga la maggioranza, sono i veri beneficiari dell’accordo di domenica scorsa. Possono stigmatizzare la prepotenza dei forti verso i deboli, attuata grazie alle regole comunitarie, e invocare quindi il ripristino di quelle prerogative esclusive sottratte a ciascun popolo dalle euroburocrazie bruxellesi.
Il Manifesto di Ventotene di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, testo fondante della costruzione europea, partiva da una considerazione: i nazionalismi sono all’origine di ogni guerra. E solo una federazione degli Stati europei avrebbe abbattuto gli egoismi di ciascun Paese. Il cammino sghembo e incerto della costruzione europea li sta invece riattivando.