mercoledì 15 luglio 2015

Repubblica 15.7.15
La soglia del 40% come argine ai nazionalismi e ai populismi
La crisi greca suggerisce a Renzi e al Pd una riflessione su come affrontare le prossime elezioni
di Stefano Folli


L’ OMBRA della crisi greca non si dissolverà in tempi prevedibili. I suoi riflessi politici, per la dinamica dell’accordo imposto ad Atene, si faranno sentire soprattutto nei paesi del Sud. Con una distinzione. Il variegato mondo delle sinistre che avevano creduto nel successo di Syriza oggi è ammutolito. Viceversa, la destra radicale e i movimenti anti-sistema hanno forse trovato lo strumento decisivo per allargare la loro base di consensi.
Alba Dorata in Grecia lo dice senza mezzi termini: ora tocca a noi; noi che abbiamo sostenuto il referendum anti-austerità e abbiamo previsto che Tsipras avrebbe piegato le ginocchia davanti all’Europa tedesca. Idem Marine Le Pen: accusa il premier greco di essersi arreso. E in Italia Beppe Grillo e Matteo Salvini non dicono cose diverse. Il capo leghista fa un passo avanti: ammonisce il presidente del Consiglio a non contribuire “con i soldi degli italiani” al nuovo salvataggio di Atene. È la stessa affermazione fatta dal premier inglese Cameron, alle prese con la prospettiva del referendum sul “Brexit”, l’uscita del Regno dall’Unione.
Al ritorno dal viaggio in Africa, Renzi troverà un panorama interno alquanto nervoso. Sul piano politico il dramma greco, cominciato a sinistra, sta evolvendo verso destra: nel senso che i nazionalisti vecchi e nuovi si fanno strada in un’Europa confusa, priva di un futuro convincente. Non a caso Salvini è in Italia, per il tono e le proposte, quanto di più simile a un esponente della nuova destra europea. Ma anche i Cinque Stelle propongono argomenti non dissimili. Il fastidio verso l’Europa dell’egemonia tedesca produce miscele imprevedibili. La Lega non era nata come partito di destra e il vecchio Bossi si fa sentire per dire che sarebbe un errore uscire dall’euro. Anche il movimento di Grillo raccoglie tanti voti, diciamo così, di sinistra: nel segno della lotta contro la “casta” e per la difesa del cittadino. Ma la lunga stagnazione economica e ora la diffidenza verso l’Unione hanno rimescolato le carte: nel messaggio “grillino” e leghista si mescolano temi di destra e di sinistra, populismo, localismo e nazionalismo.
Isondaggi danno i Cinque Stelle su percentuali imponenti, paragonabili a quelle raccolte nel 2013, quando il movimento ebbe il 25 per cento. La Lega di Salvini, con un’impronta politica più marcata, è accreditata di un 15 per cento circa. Poi ci sono i Fratelli d’Italia della Meloni e l’ala più nettamente anti-Bruxelles di Forza Italia. Un magma ben oltre il 40 per cento dell’elettorato.
L’interrogativo è quindi sempre lo stesso: cosa accadrà al secondo turno delle elezioni fatte con l’Italicum? L’onda della Grecia rischia di alimentare il risentimento anti-sistema e anti-establishment, creando di fatto un fronte radicale e populista come non si è mai visto. E un candidato Cinque Stelle opposto a Renzi può catalizzare su di sé nel ballottaggio tutto il voto di protesta contro il governo. Senza dubbio il premier pensa di correre ai ripari, ma non lo aiutano le cifre di una ripresa tuttora modesta e di un debito pubblico che tocca nuovi record. Peraltro il premier non può permettersi di arrivare alle elezioni logorato, rispetto a un competitore dall’immagine più fresca e forte di un messaggio semplice e demagogico. La vera assicurazione per Renzi sarebbe superare il 40 per cento al primo turno e chiudere lì la partita. Ma occorre un colpo d’ala di cui non si colgono gli indizi. La tentazione è un nuovo contenitore: un “partito di Renzi” al di là del Pd, capace di abbracciare insieme la sinistra riformista, il centro e la destra moderata. Una sorta di “rassemblement” repubblicano, guidato da una leadership carismatica. Ma certo non è facile costruirlo e i limiti della legge elettorale voluta tenacemente dal premier si fanno sentire.