martedì 14 luglio 2015

Repubblica 14.7.15
La bandiera strappata della sinistra europea
di Stefano Folli


POCHI giorni fa Tsipras era l’eroe dell’ Oxi , il “no” all’austerità tedesca. Oggi è il traditore delle illusioni coltivate all’unisono dalla sinistra europea in cerca di una bandiera e dalla destra nazionalista vogliosa di rivincita. Questo fronte ha perso in modo drammatico la battaglia di Bruxelles. Se l’avesse vinta, l’onda sarebbe dilagata ben oltre la Grecia. In Spagna Podemos non nasconde l’ambizione di vincere le prossime elezioni politiche .
IN Italia la somma degli euro- scettici e anti-euro, pur eterogenea (Cinque Stelle, Lega, sinistra radicale, FdI, una parte di Forza Italia), sfiora il 50 per cento dell’elettorato, forse più. Anche altrove, dalla Francia ai paesi del Nord, i movimenti anti- establishment sono forti e insidiosi. Se Tsipras avesse tenuto duro sulla linea che oggi viene ribadita da Varoufakis, il ministro incendiario e dimissionario, l’Unione si sarebbe frantumata e gli assetti politici nelle varie capitali sarebbero saltati uno dopo l’altro.
Così invece è l’esperimento di Tsipras che si disintegra sugli scogli di un’austerità ancora più arcigna, trascinando nel naufragio le speranze e le velleità nate nella domenica del referendum.
Syriza aveva schiacciato il vecchio Pasok, ma la sua stagione è durata poco e si appanna nell’isolamento. I socialdemocratici tedeschi, alleati di Angela Merkel, hanno addirittura ipotizzato fra i primi la possibilità della “Grexit”, la fuoriuscita dalla zona euro. Il socialista Hollande ha cercato di accreditare una vaga mediazione francese, ma i risultati, esaminati con attenzione, non autorizzano il compiacimento di Parigi, salvo su un punto fondamentale: l’Europa non si è spaccata e questo era nell’interesse della Merkel, di Hollande e naturalmente di Matteo Renzi. Il premier che è rimasto ai margini, nell’ombra della Francia, e forse ha fatto la scelta giusta perché non avrebbe avuto spazio per muoversi altrimenti, dato il peso del debito pubblico che si porta sulla schiena.
L’Italia aveva tutto da perdere se la Grecia fosse stata espulsa dall’euro e ha tutto da guadagnare da una ritrovata stabilità ad Atene. Si potrebbe dire di più: la sconfitta della sinistra radicale, ben rappresentata anche nella minoranza del Pd, e quelle bandiere rinfoderate sotto il Partenone costituiscono un considerevole vantaggio per il presidente del Consiglio, che da un trionfo prolungato di Tsipras sarebbe stato messo in difficoltà sul piano interno.
Avrebbe assistito alla crescita di un fronte frastagliato e aggressivo in grado di metterlo alle corde con l’accusa di essere subalterno alla Merkel e alla logica dell’Eurogruppo. Tale pericolo è evitato, benché l’Europa di oggi, quella vittoriosa nel vertice notturno, sia lungi dal garantire l’Italia. Che prospettive ci sono, ad esempio, che siano ascoltate nel prossimo futuro le richieste italiane per una gestione più solidale dell’immigrazione nel Mediterraneo? Nessuna, c’è da temere.
La scogliera di Ventimiglia è lì come un monumento all’incomprensione. Roma e Parigi, due governi di centrosinistra, due partiti membri dell’Internazionale socialista, due leader che vorrebbero essere riconosciuti come “pontieri” nell’affare greco... In realtà sono divisi dall’interesse nazionale. In fondo l’Europa del Nord, cementata dalla diffidenza verso i paesi meridionali, dimostra di essere più solida e determinata di quanto sia l’Europa del Sud, desiderosa di esprimere una diversa visione del futuro dell’Unione, ma nella pratica incapace a sua volta di superare gli egoismi.
C’è infatti un altro rischio da cui Renzi, ma non solo lui, deve guardarsi. La disfatta di Tsipras — e di tutto l’arcipelago della sinistra che ha creduto in lui — ha aperto una nuova dimensione per la destra più dura.
Il nazionalismo, una volta evocato, non si sbaraglia facilmente. Né ad Atene né altrove. Potrebbe essere questo lo sbocco della crisi greca. Bastava sentire Marine Le Pen pochi giorni fa al Parlamento europeo per rendersene conto. E in Italia la destra nazionalista ormai è Salvini, più qualcosa di Grillo.