lunedì 13 luglio 2015

Repubblica 13.7.15
Dietro la grande paura del terrorismo islamico
di Moisés Naìm

L’AUTOBOMBA al consolato italiano del Cairo ci ha fatto ripiombare nell’orrore. L’ennesimo attentato nel mondo islamico. A poche settimane da quel venerdì di terrore che ha scioccato il mondo intero, quando in un hotel sulla spiaggia, in Tunisia, due terroristi avevano assassinato 28 turisti, in Kuwait un attentatore suicida aveva fatto esplodere una bomba in una moschea sciita e a Lione, in Francia, una persona era stata decapitata in un attacco contro una fabbrica chimica.
A oggi non ci sono ancora prove che gli attentati in Tunisia, Francia e Kuwait siano stati coordinati, o che rispondano a un piano unico. E l’autobomba in Egitto sembra, appunto, un’altra storia ancora: al di là della rivendicazione dello Stato islamico, gli stessi esperti avanzano infatti dubbi, inquadrando l’episodio nel complicato scacchiere della situazione egiziana. Tuttavia, tutti questi episodi sono chiari esempi di una tendenza: l’enorme acutizzarsi della minaccia del terrorismo islamico. Ma questi attentati e altri analoghi confermano la teoria dello “scontro di civiltà” resa famosa dal professore di Harvard Samuel Huntington all’inizio degli anni Novanta? Secondo Huntington, una volta finito lo scontro ideologico fra comunismo e capitalismo, i conflitti internazionali più grossi sarebbero sorti fra Paesi con identità culturali e religiose differenti. «Lo scontro di civiltà dominerà la politica globale. Le linee di faglia che dividono le civiltà saranno le linee del fronte delle battaglie del futuro », scriveva nel 1993. Per molte persone, gli attacchi di Al Qaeda e le guerre in Afghanistan e Iraq, e la comparsa dello Stato islamico, confermano questa visione. Ma la verità è che i conflitti, più che fra una civiltà e l’altra, sono stati interni alle civiltà.
Le immagini dei notiziari televisivi, la retorica ufficiale o i toni accesi dei dibattiti radiofonici e telematici spingono facilmente a credere che il conflitto più sanguinoso del XXI secolo sia quello fra i musulmani radicali e tutti gli altri. Ma non è così. Le statistiche mostrano che è una visione errata: i devoti terroristi islamici hanno assassinato soprattutto loro correligionari. La lotta tra sciiti e sunniti continua a mietere vittime, in maggioranza musulmane. Ed è falso anche che negli Stati Uniti i principali attentati terroristici siano stati perpetrati da musulmani radicalizzati. Sono statunitensi razzisti, in molti casi appartenenti a movimenti che propugnano la supremazia della razza bianca, i responsabili del maggior numero di morti per atti terroristici negli Stati Uniti. L’ultimo in ordine di tempo di questi terroristi è stato Dylann Roof, un ragazzo di ventun anni che ha fatto nove morti e un ferito dentro una chiesa di Charleston, nella Carolina del Sud.
Le statistiche sono inequivocabili. Secondo l’Indice del terrorismo globale stilato dall’Institute for Economics and Peace, nel 2013 sono morte quasi 18.000 persone in attacchi terroristici. L’82 per cento di queste vittime era concentrato in appena cinque Paesi: Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria. I responsabili del 66 per cento di tutti i morti per terrorismo sono lo Stato islamico, Boko Haram, i Taliban e Al Qaeda. Per fare un paragone, negli ultimi quattordici anni solo il 5 per cento delle vittime del terrorismo era situato in Paesi dell’Ocse. Dal 2000 a oggi, il 90 per cento degli attentati suicidi ha avuto come teatro il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Asia meridionale (in quest’ultimo caso, soprattutto Pakistan e Afghanistan).
Dei 162 Paesi inclusi nell’Indice del terrorismo globale, l’Iraq occupa il primo posto per numero di vittime; la Francia, per dirne una, è solo in cinquantaseiesima posizione.
Le statistiche sono rivelatrici anche per quanto riguarda il terrorismo negli Stati Uniti. Uno studio pubblicato dalla fondazione New America rivela che dall’11 settembre 2001 il numero delle vittime di atti terroristici compiuti da razzisti di razza bianca e altri estremisti non musulmani è il doppio di quelle causate da musulmani: 48 contro 26. Va aggiunto che gli attacchi terroristici negli Stati Uniti sono relativamente poco frequenti: dall’11 settembre ci sono stati 19 attentati di non musulmani e 7 attentati di militanti islamici.
Tutto ciò non significa che il terrorismo islamico non sia una minaccia rilevante. Purtroppo lo scenario più probabile è che diventi sempre più sparpagliato a livello internazionale.
Anche così, possiamo facilmente prevedere che le principali vittime dei terroristi islamici continueranno a essere i loro correligionari. Lo stesso succederà negli Stati Uniti, dove tutto sembra indicare che la tendenza non cambierà e che i razzisti statunitensi continueranno a rappresentare una minaccia seria per i loro compatrioti. Il terrorismo non scomparirà. L’importante è combatterlo sulla base dei fatti, e non dei pregiudizi.
Twitter @moisesnaim (Traduzione di Fabio Galimberti)