domenica 12 luglio 2015

Repubblica 12.7.15
Lo scrittore Ala Al Aswani
“Ma un regime non è la risposta per battere il terrorismo”
Bisogna applicare la Costituzione e rispettare i diritti umani. E qui non è così semplice
di Anna Lombardi


Ci sono stati più attacchi da quando Morsi è stato deposto. C’è chi cavalca la logica della Fratellanza

Cosa è rimasto dello spirito rivoluzionario?
«È ancora vivo. Molta gente ci crede ancora. E poi conosco bene la storia, so che queste situazioni si superano: torneremo ad essere un Paese sano. L’importante è non smettere di pensare criticamente, di parlare ad alta voce, non smettere di farci domande».

LO SCRITTORE Ala Al Aswani è il più noto scrittore egiziano contemporaneo: è stato fra i sostenitori della prima ora della rivoluzione di piazza Tahrir e si è poi opposto al potere dei Fratelli musulmani

«TUTTI sanno quanto io sia critico nei confronti di Al Sisi: ma oggi tutto l’Egitto è indignato, sia chi è contro il governo, sia chi lo sostiene». Al telefono dal suo studio dentistico del Cairo, Ala Al Aswani scandisce bene le parole. Il più celebre scrittore egiziano vivente, l’autore che nonostante il successo mondiale dei suoi romanzi
(Palazzo Yacoubian, Chicago, Cairo Automobile Club ) non ha mai lasciato il mestiere di medico, è da sempre un intellettuale impegnato che ai tempi di Piazza Tahrir era al fianco della rivoluzione e non ha smesso di esprimere il suo dissenso neanche dopo. «Questo attentato mi rattristra molto: non solo come egiziano, ma come essere umano».
Il suo Paese è compresso tra terrorismo e la leadership di un generale. Teme per il futuro democratico dell’Egitto?
«Assolutamente sì. L’attuale governo è perfino meno democratico di quello di Mubarak. All’epoca almeno si era liberi di dissentire. Il mio stesso caso lo dimostra: i miei articoli sono censurati, è un anno che qui non posso pubblicarli. Ero un dissidente anche prima: ma nessuno mi aveva mai impedito di scrivere sui giornali».
Cosa dà fastidio delle sue parole?
«Dico cose semplici: dico che non si può sacrificare la democrazia nascondendosi dietro la scusa della lotta al terrorismo. Anche perché solo la democrazia può sconfiggerlo. Non certo un regime».
Pensa che il pugno di ferro di Al Sisi stia rafforzando gli estremisti?
«Il terrorismo non si ferma con la repressione ma con la giustizia. Mettere migliaia di persone in carcere, torturarle, negare la libertà di stampa e di parola non aiuta la causa della democrazia: semmai dà al terrorismo una ragione in più per esistere. Sia chiaro, non ci sono giustificazioni per certi atti. Nessuna forma di violenza è accettabile. Ma sono convinto che un sistema giusto sarebbe in grado di combattere il terrorismo più efficacemente».
Come?
«Basterebbe applicare la Costituzione e rispettare i diritti umani. Sembra una formula semplice ma qui non lo è. Anzi, la nuova legge antiterrorismo varata dal governo è una palese violazione dei diritti umani. Che non servirà a fermare il terrorismo».
L’Is ha rivendicato gli attacchi: lei che idea si è fatto?
«Non ho prove contro nessuno, ma è un fatto che gli attentati sono aumentati con la deposizione di Morsi. Quindi chi li mette in pratica quanto meno vuol cavalcare le ragioni politiche dei Fratelli musulmani. Questo non vuol dire che questi siano direttamente coinvolti: ma non dobbiamo dimenticarci che tutti questi movimenti islamisti, che siano terroristici o politici, condividono la stessa logica. Da Al Qaeda all’Is, da Boko Haram ai Fratelli musulmani. Sono diversi nelle tattiche, non nella sostanza. Tutti questi gruppi condividono un medesimo progetto: che non ha nulla a che fare con l’Islam».
Cosa dicono gli egiziani? Sono stanchi di questo clima d’emergenza?
«Senz’altro e purtroppo la loro stanchezza è un’arma nelle mani del governo. Gli dicono che la repressione è l’unico modo per garantire la sicurezza e molti ci credono, anche perché i prinicipali media sono controllati dallo Stato e attaccano chiunque avanzi critiche».